15 dicembre 2015
Tags : Salvataggio delle quattro banche
Il governo doveva per forza salvare le quattro banche? Di chi è la colpa? Si poteva evitare il disastro? Domande & risposte per capirne di più
Stefano Lepri per La Stampa
Il governo doveva per forza salvare le quattro banche?
È stata salvata la parte sana, scindendola da quella malata. Tutte e quattro erano da tempo commissariate, ovvero la Banca d’Italia aveva destituito i loro amministratori mettendo al loro posto commissari straordinari. La Cassa di risparmio di Ferrara lo era dal maggio 2013, 30 mesi, la Banca delle Marche dall’ottobre 2013, la Cassa di risparmio di Chieti dal settembre 2014, la Banca popolare dell’Etruria e del Lazio dal febbraio del 2015. I commissari avevano constatato che non era possibile rimetterle in sesto.
Erano possibili altre scelte?
Si poteva lasciarle fallire. Ma il danno economico sarebbe stato più grave: tosatura dei depositi sopra i 100.000 euro, scomparsa dei posti di lavoro.
È stata una decisione affrettata?
Sì, perché occorreva provvedere prima del 1° gennaio, quando entrerà in vigore la nuova normativa che prevede di accollare una parte delle perdite anche ai depositi sopra i 100 mila euro. Questa legge, votata sia dal Pd sia da Forza Italia, con l’astensione della Lega, è la conseguenza di una direttiva europea, durante la cui preparazione l’Italia si era opposta a coinvolgere le obbligazioni subordinate ma era rimasta isolata.
Si sono spesi soldi dello Stato?
No. La normativa europea lo vieta. Il costo del taglio della parte infetta delle 4 banche, 3,6 miliardi di euro, sarà sopportato dal resto del sistema bancario italiano.
Allora perché devono pagare, per 430 milioni, anche i risparmiatori?
I detentori di «obbligazioni subordinate» sarebbero stati per forza coinvolti dopo il 1° gennaio, secondo la nuova legge. Ma lo sarebbero stati anche con un fallimento regolato dalle norme precedenti. Da sempre, le obbligazioni subordinate sono titoli che rendono più delle obbligazioni ordinarie proprio perché più rischiose: in caso di fallimento non hanno precedenza nel rimborso.
Piccoli risparmiatori hanno visto il loro gruzzolo trasformarsi in carta straccia.
Il valore di Borsa di quelle obbligazioni era già sfumato man mano che venivano alla luce le malefatte degli amministratori revocati. Per quelle trattate in Borsa le quotazioni erano precipitate. Ad esempio la più grossa emissione di Banca Marche al momento del decreto governativo aveva perso tre quarti del valore nominale. Era già dimezzata un anno fa, dopo che i magistrati di Ancona avevano definito «gruppo criminale» gli ex amministratori. Non è stata una sorpresa. Le persone gravemente colpite non sarebbero comunque molto più di un migliaio.
Si poteva evitare il disastro?
Il 26 maggio scorso il governatore della Banca d’Italia aveva suggerito di riservare la vendita di obbligazioni subordinate agli investitori professionali. Governo e Parlamento non hanno ascoltato.
Ma non sta alla Banca d’Italia impedire il malaffare nelle banche?
È possibile chiedersi se sarebbe stato meglio agire prima; specie per la Banca dell’Etruria, ultima ad essere commissariata. In genere i gruppi locali di potere attorno alle banche (e i partiti locali, talvolta perfino il M5S) tentano con tutte le loro forze di evitare il commissariamento. Tanto che in un caso differente, a Spoleto, hanno denunciato la Banca d’Italia accusandola all’opposto di aver commissariato troppo presto. Almeno, la Banca d’Italia potrebbe rendere subito pubbliche le irregolarità scoperte.Più trasparenza è essenziale, in un Paese in cui negli anni scorsi si preferiva «lavare in casa i panni sporchi» della finanza. Ma le banche si reggono sulla fiducia; una notizia negativa se sopravvalutata può mettere in difficoltà serie anche una banca relativamente sana, provocando una corsa agli sportelli. È difficile stabilire una volta per tutte l’equilibrio giusto tra esigenze di trasparenza ed esigenze di stabilità.
Andrea Greco per la Repubblica
La rivoluzione del bail in costringe milioni di risparmiatori in Italia (e in Europa) a stare più attenti ai loro investimenti in banca, perché dal 1° gennaio sarà molto più difficile che a pagare il costo dei salvataggi siano gli Stati, con i quattrini della fiscalità generale. La direttiva Brrd prevede che i primi a farsi carico delle perdite bancarie (fino all’8 per cento del totale) siano azionisti, obbligazionisti subordinati, obbligazionisti ordinari, e se non basta i depositanti oltre i 100mila euro. Nella trasmissione Know how, su Repubblica Tv, abbiamo analizzato con il professor Eugenio Pinto — docente di Economia aziendale alla Luiss — gli effetti delle nuove misure e le cautele che i risparmiatori dovranno mettere in campo se non vogliono subire salassi. Servirà più attenzione al livello di patrimonio degli istituti, un controllo attento dell’effettiva adeguatezza degli investimenti in bond proposti (rispetto al proprio profilo di rischio), e sui depositi una maggiore diversificazione dei rischi, cointestando i conti correnti e spalmando la liquidità su più istituti.
Ma il bail in è una forma di prelievo forzoso ai risparmiatori?
Nelle grandi crisi finanziarie passate, la cui coda stiamo ancora vivendo, a salvare le banche in dissesto sono sempre intervenuti gli Stati, con le risorse della fiscalità generale. Significa che l’onere è stato ripartito sui contribuenti, e pagato anche da quelli che non avevano nulla a che fare con quelle crisi. Con la nuova direttiva Brrd l’intervento pubblico viene messo in coda a tutto e sono chiamati per primi a pagare gli investitori in titoli di rischio. Questo non è un principio campato per aria, ma va nella direzione di una maggiore responsabilità dei banchieri contro “l’azzardo morale” e di un contenimento della spesa pubblica nei Paesi europei.
I conti correnti e i conti di deposito saranno ancora al sicuro?
Intanto la liquidità dei depositanti è l’ultima fetta del passivo chiamata a rispondere del bail in, e ciò potrebbe avvenire solo in dissesti molto gravi. C’è comunque una garanzia totale da parte del Fondo di tutela per i depositi fino a 100mila euro per ciascuna persona fisica e ciascuna banca. Se si avessero più di 100mila euro depositati basterebbe suddividerli su più banche o su conti cointestati per diminuire ulteriormente la partecipazione ai futuri salvataggi. Per esempio con le nuove regole un conto cointestato con il coniuge o con un figlio da 150mila euro sarebbe conteggiato come 75mila a testa, senza ricadere nella soglia. Lo stesso vale per conti di un soggetto divisi su più banche, mentre se concentrati in un solo istituto si cumula.
Titoli di Stato, fondi comuni e azioni investiti tramite una banca sono aggredibili dal bail?
I dossier titoli tenuti dalle banche per conto dei clienti – che infatti vengono chiamati “risparmio amministrato” - non sono compresi nella direttiva Brrd. Così come ne sono esclusi i fondi comuni. Se però la gestione di un fondo contiene azioni o bond di una banca che finisce in crisi, quei titoli possono essere chiamati a coprire le sue perdite.
Le quattro banche del Centro Italia salvate a novembre sono sicure?
Con il salvataggio di Banca delle Marche, Etruria, Cariferrara e Carichieti, i quattro istituti in crisi e commissariati sono stati ricapitalizzati e ripuliti di 8,5 miliardi di crediti deteriorati, finiti in una “bad bank” che li smaltirà dopo averli svalutati di 7 miliardi. Le quattro “nuove” banche hanno un nuovo management e operano in continuità rispetto ai vecchi istituti.
Chi ha perso i risparmi con le quattro banche a chi deve chiedere conto?
Le prime interpretazioni fanno pensare che eventuali azioni giudiziarie degli investitori delle banche salvate debbano rivolgersi alle quattro “residual bank”, delle entità residuali cui sono stati lasciati parte degli attivi degli istituti, alcuni fondi e riserve, e proventi e oneri delle future cause attive (contro amministratori) e passive (dai risparmiatori).
Quali sono le stime di recupero sui bond subordinati ?
Il bond subordinato è tra i prestiti più rischiosi, poichè penalizzato nella ripartizione del passivo in caso di fallimento. Tuttavia in Italia sono particolarmente diffusi. Ce ne sono per 71 miliardi di euro emessi dalle banche italiane, e 788 milioni di quelli emessi dai quattro istituti salvati sono stati azzerati. Il governo ha stanziato un fondo da 80 milioni e nominerà un arbitro che stabilirà caso per caso chi e per quanto rimborsare: quindi la quota sarà molto variabile. Le quattro banche hanno comunicato che almeno un quarto dei loro portatori di bond subordinati poteva avere profili inadatti a quel tipo di investimento.
Come valutare la sicurezza di una banca?
Bisogna guardare il patrimonio primario, le riserve contabili chiamate a coprire le perdite per prime. Più è alto, più i suoi risparmiatori sono al sicuro. L’indicatore più attendibile è il Common equity tier 1, il nocciolo duro che si misura in percentuale sugli attivi, ponderati per il rischio. La soglia minima in Europa è dell’8%, tutte le banche quotate sono tenute a comunicarlo con la pubblicazione dei conti trimestrali, le altre nel semestre o nei bilanci di fine anno.
Gli italiani hanno una ricchezza privata tra le più alte al mondo ma scarsa conoscenza finanziaria. Come migliorare le cose?
La nuova direttiva europea spinge gli italiani ad accrescere la loro competenza in fatto di risparmi. L’esistenza di un elevatissimo debito pubblico, largamente collocato ai cittadini italiani, ha fatto sì che molte famiglie per decenni abbiano concentrato gli investimenti sui titoli di Stato e questo ha attenuato l’esigenza di informarsi bene. Nel futuro bisognerà farlo di più, sui giornali, sui siti e anche sfruttando le potenzialità del web banking, che permette di investire anche pochi risparmi in qualunque strumento finanziario del mondo, e in molti casi mette a disposizione sui conti correnti piattaforme di trading che consentono di attivare sezioni di simulazione, per capire “giocando” come funzionano i mercati e realizzare guadagni o perdite solo virtuali.