Corriere della Sera, 15 dicembre 2015
Habib Burghiba e la Tunisia moderna
Molto noto è stato il presidente tunisino Burghiba, al quale viene ascritto il merito di aver conquistato per il suo Paese l’indipendenza senza ricorrere alla violenza. È ben noto anche che nel 1987, dopo aver governato per più di 30 anni, il presidente Burghiba, di età avanzata, fu deposto dal generale Ben Ali per senilità, con un colpo di Stato rimasto unico negli annali del mondo arabo, in seguito ad una certificazione medica. Quello che mi ha sorpreso è che viene dichiarato che il Sismi collaborò a quel colpo di stato. Quali interessi aveva l’Italia?
Antonio Fadda
antonio.fadda@virgilio.it
Caro Fadda,
Non so quale parte i Servizi italiani abbiano avuto nella destituzione del Combattente Supremo (come Habib Burghiba voleva essere chiamato), ma sarei sorpreso se avessero assistito passivamente al declino fisico di un uomo che aveva accentrato nella sua persona quasi tutti i maggiori poteri dello Stato e non era più in condizione di esercitarli. Per la sua vicinanza alle coste italiane e per la presenza storica di una comunità che aveva preceduto l’occupazione francese ed ebbe una parte importante nella modernizzazione del Paese, la Tunisia non è mai stata, per l’Italia, una terra straniera. Non era straniera per gli ebrei tunisini che commerciavano con Livorno, avevano un passaporto del granducato di Toscana e divennero automaticamente italiani dopo la costituzione del Regno. Non era straniera per gli esuli del periodo pre-unitario. E non lo era infine per Bettino Craxi che morì a Hammamet nel gennaio del 2000.
Anche Habib Burghiba, negli anni in cui si batteva per l’indipendenza del suo Paese ed era considerato a Parigi un insidioso nemico, ebbe qualche contatto con i Servizi italiani. Durante la Seconda guerra mondiale, nella fase in cui la Tunisia era occupata da forze armate italiane e tedesche, Burghiba era ancora detenuto in un carcere francese. Liberato dai tedeschi e portato a Roma, fu ricevuto da Mussolini a Palazzo Venezia insieme ad altri nazionalisti tunisini. Gli fu chiesto di invitare i suoi compatrioti alla collaborazione con le potenze dell’Asse, ma si limitò a espressioni generiche e non impegnative. Era convinto che gli Alleati avrebbero vinto la guerra e non voleva pregiudicare il proprio futuro politico con una imprudente scelta di campo.
Terminato il conflitto, dovette aspettare una decina d’anni prima che a Parigi il governo di Pierre Mendès-France decidesse di rinunciare al protettorato; e ancora due anni, fino al marzo 1956, prima che la Tunisia potesse proclamare la sua piena indipendenza. Da quel momento Bourguiba poté estendere gradualmente i suoi poteri fino a promuovere un ostentato culto della personalità. Ma dei suoi pieni poteri fece un buon uso. Durante la sua lunga presidenza furono abolite molte delle regole, soprattutto nelle materie del diritto di famiglia, che ancora legavano la società civile tunisina alle sue tradizioni musulmane. Di fronte all’Assemblea costituente, nell’aprile 1956, disse: «Non dimentichiamo di essere arabi e radicati nella civiltà islamica, ma non possiamo trascurare il fatto che viviamo nella seconda metà del XX secolo». Si comprende perché la Tunisia sia il Paese in cui la riforma costituzionale, dopo le rivolte arabe, ha avuto luogo senza troppi strappi e incidenti di percorso.