Corriere della Sera, 15 dicembre 2015
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Fenomenologia di Darth Vader
Un rantolo. Una maschera. Un mantello. Un filo di luce (rossa) brandito come un’arma. Un elmo e una corazza cibernetici. E su tutto, un alone nero.
L’iconografia di Darth Vader è oggi chiara come per pochi protagonisti dell’immaginario. A partire da quella volta «tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana» in cui la sua impronta sonora – una marcia, un respiro – lo annunciò disegnandone con precisione i tratti: una silhouette buia che emerge dal fondo, tra i fumi della battaglia, per imporre la sua poderosa, inquietante, misteriosa presenza.
Cosa abbia rappresentato Darth Vader alla sua apparizione, quasi quaranta anni fa, è stato largamente chiarito: il villain per antonomasia, icona del Male come frutto marcio dell’ambizione e della paura. Un uomo invischiato in uno straordinario complesso di Edipo, come svelò il memorabile finale de L’Impero colpisce ancora. Un Macbeth, per la hybris unita alla paura del futuro che emerge dalle angosciose premonizioni di Anakin. E più modernamente, un cyborg. Ovvero, un memento della pena che potrebbero comportare le nuove identità al confine tra uomo e macchina, in anni in cui Blade Runner e la fantascienza cyberpunk erano di là da venire, con i loro dilemmi sui supplizi generati dalla convivenza fra umanità e biotecnologia.
Ciò che è accaduto poi, in particolare con la Trilogia prequel, è stata una riabilitazione del Cavaliere Jedi divenuto Signore oscuro dei Sith. Una traiettoria avviata dalla sua redenzione ne Il ritorno dello Jedi, premessa di una duplice operazione voluta da George Lucas: la compiuta costruzione di un’icona (anti)eroica, e la strategia di diffusione della sua «usabilità».
Da un lato, infatti, Lucas ha alimentato il personaggio ispirando la sua crescita – nella percezione del pubblico – come autentico antieroe, ancor più che villain. Una vittima, oltre che un carnefice. Dai tardi anni Ottanta in poi, nei fumetti, nella serie animata Clone Wars e infine nella Trilogia prequel, il protagonista dell’universo di Star Wars è diventato proprio Anakin Skywalker. Ovvero il suo passato, la sua formazione, la sua crisi, il suo passaggio. I tratti di Vader si sono «espansi» diventando chiaramente non un set fisso, quanto un processo, un viaggio a tappe nello spazio interiore di un uomo – seducente e repellente al contempo – che ha visto squadernati insospettabili pregi, comprensibili difetti e inconfessabili angosce.
D’altro canto, mentre l’Universo espanso di Star Wars – l’insieme delle narrazioni presentate in media altri da quello cinematografico «originale» – progrediva, lo stesso Darth Vader diventava un oggetto «smontabile». Un’icona sminuzzata nei suoi dettagli psicologici, nell’arredo del suo mondo biografico, nelle sue idiosincrasie. Una figura celebrata proprio nella nuova saga cinematografica, con l’episodio La vendetta dei Sith che arriva a mettere in scena in una nota sequenza la (nostra) contemplazione di fronte a un momento sublime: la sua rinascita, inquadrata nel comporsi a tutto schermo del corpo e del volto (la maschera, l’elmo), grazie all’intervento «medico» di Palpatine.
Da allora a oggi l’icona Darth Vader ha rafforzato la sua natura di fondo: quella di dispositivo – certamente postmoderno – per la rappresentazione di molti ingredienti del lato oscuro dell’esistenza. Ingredienti con cui abbiamo ormai familiarizzato, giocando a scomporli e ricomporli anche grazie al supporto strategico offerto da Lucas ai fan (diversamente da Disney o Hergé, per fare due nomi): la libertà di citare, esplorare, remixare. Ovvero quelle possibilità di «usare i personaggi» che hanno fatto di Star Wars una delle esperienze più feconde nella storia della partecipazione dei fruitori in un universo finzionale.
Vestire e svestire un corpo biomeccanico, svelare e nascondere il «vero» volto sfigurato dal destino, intonare i suoni della tragedia – sono soltanto alcuni fra i modi in cui diverse generazioni hanno giocato al gioco del villain e dell’antieroe, dell’angoscia e della redenzione.
E chissà che quella sua nera oscurità non ci abbia preparati a capire più a fondo persino quanto la cosmologia e le scienze fisiche ci stanno spiegando oggi, parlando di «materia oscura» ed «energia oscura», centrali per la vita stessa – ironicamente, forse – «in una galassia vicina vicina».
(l’autore è docente di Linguaggi audiovisivi all’Università Cattolica di Milano e direttore Fumettologica.it)