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 2015  dicembre 15 Martedì calendario

La risalita di Hollande, il «Pinguino»

«Ha vinto la democrazia» fa sapere Hollande; che sente così di essere rientrato in gioco. L’uomo che al resto del mondo appare pacioso e inoffensivo si conferma un politico machiavellico e spregiudicatissimo, con i suoi compatrioti non meno che con le sue donne. 
Il «Pinguino», come lo chiamava Carla Bruni in Sarkozy, manda avanti il primo ministro Valls a fare il duro, a evocare il rischio di guerra batteriologica con l’Isis e di guerra civile con Marine Le Pen; e ritaglia per sé il ruolo di statista, che non si china sui miasmi della campagna elettorale, ma protegge la nazione a bordo della Charles de Gaulle e salva il mondo propiziando l’accordo sul clima. 
Nel summit Hollande ha cercato quella catarsi dopo le stragi che aveva avuto l’11 gennaio con la grande marcia dei leader nella Parigi ferita. Questa tattica non ha fatto di lui un vincitore: il presidente si muove su un crinale difficilissimo, con un Paese sempre più a destra e il partito socialista crollato nei suoi stessi bastioni. Ma il «sussulto repubblicano» di domenica ha mostrato che chiunque arrivi al ballottaggio ha ottime chances di battere Marine Le Pen. Il problema per Hollande è passare il primo turno, superando il vincitore delle primarie della destra gollista: Alain Juppé o meglio ancora Nicolas Sarkozy. Può riuscirci a due condizioni. La prima: deve essere l’unico candidato di peso della sinistra. 
La seconda: ha bisogno di drammatizzare la situazione, di additare i nemici della Repubblica alle porte, di invitare i francesi a stringersi attorno a una leadership sperimentata e condivisa. La seconda condizione non dovrebbe essere un problema. La situazione è già abbastanza drammatica. Il ballottaggio delle Regionali non deve far dimenticare il primo turno: il Front National è al 30%, prospera non solo nella paura per gli immigrati e il terrorismo ma soprattutto nell’angoscia delle periferie del Paese, ormai in aperta ribellione contro le élite parigine in cui Hollande, enarca e quadro di partito, è nato e cresciuto. Pure Marine Le Pen terrà alta la tensione: i suoi interessi coincidono con quelli del presidente, perché la sua unica, remota chance di entrare all’Eliseo è affrontare al ballottaggio proprio Hollande. E la minaccia dell’Isis e dei suoi imitatori, come si è visto anche ieri con l’aggressione nella banlieue parigina, accompagnerà tutti i 17 mesi da qui alle presidenziali. 
L’equilibrio tra retorica e decisione con cui Hollande si è mosso dopo il 13 novembre l’ha fatto risalire nei sondaggi. Ma nessuno è in grado di prevedere come reagirebbero i francesi a un nuovo attacco. Non a caso Valls ha riunito i responsabili di Apple, Twitter, Google, Microsoft e Facebook – che ha mandato uomini dagli Stati Uniti —, per ringraziarli dell’aiuto che i social network hanno dato ai parigini nei giorni delle stragi e per chiedere consigli: «Questi attacchi rischiano di ripetersi – ha detto il primo ministro —. Come possiamo migliorare? Potete aiutarci anche a costruire un contro-discorso, a fare una propaganda opposta a quella degli islamici?». 
Nell’intervista della vigilia elettorale al Figaro, Sarkozy ha rotto un tabù, accusando Hollande di aver trascinato la Francia nel conflitto mediorientale in modo irresponsabile, senza proteggerla, sguarnendo il fronte interno. È una verità che finora si mormorava a mezza bocca. Altri lutti, all’estero o in madrepatria, la rafforzerebbero. Un conto è parlare di guerra, un altro è farla, e vincerla. Hollande ha bisogno della collaborazione dei Repubblicani per cambiare la Costituzione, scrivere le nuove norme sullo stato d’emergenza, togliere la cittadinanza ai fondamentalisti, rafforzare l’esercito e rendere più facile per la polizia aprire il fuoco. L’ex premier di destra Raffarin invita Sarkozy a collaborare con l’Eliseo, ma lui non vuole in alcun modo soccorrere il rivale. 
Hollande si muove invece con padronanza nel campo di battaglia che gli è più familiare, quello della politica. Si è prefisso un’operazione mitterrandiana: unire la sinistra evocando lo spettro dell’estrema destra vittoriosa. Domenica notte Jean-Luc Mélenchon, il fondatore del Parti de la Gauche che alle presidenziali prese l’11% ma ora è in difficoltà, ha visto uno spiraglio per rientrare in gioco e ha proposto ai socialisti un «fronte popolare» contro la disoccupazione. Però il capo dello Stato, che in questi anni ha svoltato al centro, non può certo farsi dettare l’agenda dalle estreme. Potrebbe semmai aprire agli ecologisti. Di sicuro lancerà un piano per il lavoro, la scuola laica, la formazione, contro la precarietà. Approfondirà il tema sociale accanto a quello della sicurezza, già nel discorso che terrà il 22 dicembre e poi nell’intervento tv di Capodanno, a costo di rinviare ancora i tagli al bilancio e il rispetto dei parametri europei: Marine Le Pen serve anche a questo, a presentarsi con più forza al negoziato con Angela Merkel. Per marcare una nuova stagione si discute persino se cambiare nome al partito socialista: è la proposta di Julien Dray, ex trotzkista, massone, vicino a Ségolène Royal, che è pur sempre la madre dei quattro figli di Hollande. 
Con le donne il pingue presidente ha confermato la sua spregiudicatezza. Non ha esitato a lasciare la compagna di una vita all’indomani della sua sconfitta nel 2007 contro Sarkozy. Con Valérie Trierweiler è finita malissimo. Ora tiene sulla corda la bella attrice Julie Gayet. «Diamo tempo al tempo» ha risposto Hollande agli amici che gli chiedevano quali intenzione avesse. Era la formula con cui il suo maestro Mitterrand rinviava le decisioni in cui aveva qualcosa da perdere. 
C’è invece un altro dossier che intende affrontare subito: la Libia. Un nuovo fronte su cui combattere l’Isis, coinvolgendo ovviamente i partner, a cominciare dagli Stati Uniti, compresa l’Italia. È difficile attaccare un capo dello Stato che si erge a difensore della nazione in pericolo; e Hollande punta su questo. Ha ancora una chance di restare all’Eliseo. Ma corre anche il rischio di essere entrato in una partita troppo più grande di lui.