Corriere della Sera, 15 dicembre 2015
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Ritratto di Ted Cruz, l’anti-Trump
L’anti Donald Trump forse esiste davvero e si chiama Ted Cruz. Questa almeno è lo scenario su cui stanno esercitando gli osservatori più accreditati della politica americana. A cominciare dall’editorialista del Washington Post, Chris Cillizza che, in una lunga analisi, arriva a sostenere con sicurezza che il quarantaquattrenne senatore del Texas alla fine sfilerà la nomination repubblicana all’outsider miliardario. L’esperienza degli ultimi mesi, però, dimostra che in campo repubblicano di certezze non ce ne sono molte.
Esiste, però, un dato di fatto. Secondo i sondaggi Cruz e Trump sono molto vicini nell’Iowa, lo Stato da cui il primo febbraio partirà il lungo percorso delle primarie. Negli ultimi cinque giorni il senatore, nato in Canada da padre cubano e madre americana, si era portato avanti di dieci punti percentuali. Ma già ieri l’immobiliarista newyorkese veniva dato, sia pure di un’incollatura, ancora in testa: 28% contro 27%.
Numeri volatili. Segno che, effettivamente, nuove correnti di opinione o, più semplicemente, nuove reazioni istintive, stanno solcando l’elettorato repubblicano.
Già stasera avremo una verifica importante. Trump, Cruz, insieme con gli altri sette principali candidati repubblicani, si ritroveranno sul palco del Venetian Theatre a Las Vegas, per l’ultimo confronto televisivo, questa volta organizzato dalla Cnn. In Italia saranno le due del mattino del 16 dicembre. Cruz avrà la grande occasione per emergere come l’opzione più affidabile da opporre all’antagonista democratica Hillary Clinton.
È il meccanismo stesso delle primarie a dare qualche concreta possibilità agli avversari di Trump. Le rilevazioni a livello nazionale assegnano il 41% delle preferenze all’uomo che vuole vietare l’ingresso negli Stati Uniti agli immigrati musulmani. Tutti gli altri seguono al 12-10%. Ma se a febbraio, nella prima conta nel «caucus», l’assemblea dell’Iowa, Cruz dovesse prevalere, allora la crescita di Trump, che oggi sembra incontenibile, potrebbe fermarsi. Dopo l’Iowa si esprimerà il New Hampshire e poi il South Carolina, due Stati con una forte tradizione super conservatrice. E Cruz, politicamente e culturalmente, è un conservatore sicuramente più ortodosso dell’attuale capolista, battitore libero e imprevedibile. Immigrati, terrorismo, sicurezza interna: sono tutti temi sui quali l’avvocato Cruz propone soluzioni drastiche. Stretta ai controlli di frontiera, pena di morte, sconfessione dell’accordo nucleare con l’Iran, Paese «finanziatore del terrorismo».
L’establishment del partito non lo ama. Del resto pochi mesi fa, nel mese di luglio, Cruz aveva dato praticamente del «bugiardo» all’allora leader dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell. Ma gran parte dei finanziatori sono dalla sua parte. Per questa campagna ha già raccolto 65 milioni di dollari, al terzo posto dopo i 133 accumulati da Jeb Bush e i 97,7 milioni di Hillary Clinton e davanti ai 47,7 dell’altro candidato di origini cubane, Marco Rubio.
Nel partito repubblicano si sta ragionando sull’ipotesi di formare un cordone di sicurezza per evitare che la nomination venga assegnata a Trump. Non è certo però che i grandi elettori del partito di Abramo Lincoln possano, in quel caso, davvero convergere su Cruz: anche lui ha costruito la sua ascesa seminando divisioni.