Corriere della Sera, 15 dicembre 2015
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Gli ex vertici dell’Etruria sono indagati per conflitto d’interessi
Sono accusati di aver sfruttato a fini personali il ruolo che avevano all’interno dell’Istituto. E di averlo fatto per godere di finanziamenti che altrimenti non avrebbero potuto ottenere. Per questo l’ex presidente di Banca Etruria Lorenzo Rosi e l’ex membro del Cda Luciano Nataloni sono accusati dalla procura di Arezzo di «omessa comunicazione di conflitto d’interessi». L’indagine avviata dai magistrati toscani compie dunque il salto di qualità e punta direttamente ai vertici, individuando possibili responsabilità nel dissesto.
È il primo passo, le verifiche affidate al nucleo Tributario della Guardia di Finanza sono tuttora in corso. E la lista degli indagati potrebbe presto allungarsi, puntando direttamente al management e agli altri componenti del Consiglio di amministrazione. Ma i controlli dovranno anche stabilire come mai né Palazzo Koch, né la Consob misero in guardia dai rischi legati alle emissioni obbligazionarie, e questo nonostante siano state effettuate ben tre ispezioni tra dicembre 2012 e febbraio 2015.
Le contestazioni del procuratore Roberto Rossi a Rosi e Nataloni si rifanno alla relazione di Bankitalia che nel febbraio scorso decise il commissariamento di Etruria. E si riferiscono al periodo che va dal 2013 al 2014, quando vicepresidente era Pier Luigi Boschi, padre del ministro delle Riforme Maria Elena. In particolare nel dossier degli ispettori di Bankitalia veniva evidenziato come pratiche di finanziamento per 185 milioni si siano svolte in situazioni di «conflitto d’interesse» generando 18 milioni di perdite. E subito dopo si parlava del ruolo di Rosi e di due pratiche di finanziamento intestate a Nataloni: una da 5,6 milioni di euro riguardante la società «Td Group» finita in sofferenza, una da 3,4 milioni di euro senza però l’indicazione dell’azienda. Quanto basta – secondo l’accusa – per procedere per «omessa comunicazione del conflitto di interessi» in relazione all’articolo 2391 del codice civile che riguarda proprio gli «interessi degli amministratori».
Proprio in questi giorni il nome di Rosi è finito al centro di una polemica tra il consigliere di Fratelli d’Italia e la famiglia Renzi. Il politico toscano sostiene che, dopo il commissariamento, l’ex presidente di Etruria con la sua Nikila Invest è diventato socio della Party srl, l’azienda che fa capo a Tiziano Renzi, padre del presidente del Consiglio, ed è impegnata nella costruzione di outlet. Un’attività alla quale si dedica anche Nataloni ed è proprio questo ad avere suscitato interesse negli investigatori. I Renzi hanno smentito, ma ieri il politico toscano ha reso note le visure camerali confermando l’intreccio societario.
La relazione di Bankitalia contestava un «buco» di circa tre miliardi di euro. E proprio per cercare di ripianare le perdite sarebbero state emesse le obbligazioni subordinate diventate carta straccia dopo il decreto firmato due settimane fa dal governo proprio per salvare Etruria e altre quattro banche. Bankitalia ha fatto sapere, pur specificando di non aver alcun potere di veto, di aver sconsigliato la vendita ai piccoli risparmiatori. Per questo l’inchiesta dovrà accertare se davvero questa raccomandazione fosse arrivata ai vertici di Etruria e quali siano state invece le indicazioni fornite dai vertici ai responsabili delle varie filiali.
Anche perché si deve tenere comunque conto che è alla Consob che spetta la vigilanza sull’emissione dei titoli di debito destinati agli investitori istituzionali e sopratutto ai risparmiatori, ma non risulta che siano stati mossi rilievi né tantomeno che ci siano state segnalazioni alla magistratura. E anche di questo si cercherà adesso di scoprire le cause.