Corriere della Sera, 15 dicembre 2015
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La lettera di Bankitalia alle piccole banche
Dopo le quindici banche più grandi, tocca alle altre. E dopo l’operazione congiunta con la Banca centrale europea, tocca alla Banca d’Italia da sola mettere sotto pressione centinaia di istituti perché garantiscano un livello accettabile di solidità. Pena, per chi non riesce, l’esposizione pubblica della loro debolezza e il divieto di distribuire dividendi agli azionisti, cedole agli obbligazionisti e bonus ai manager.
L’ultima lettera destinata alle medie e piccole banche è partita da Palazzo Koch nelle scorse settimane. È il primo passo di una nuova stretta per cercare di evitare nuovi casi di risparmio bruciato come quello che ha coinvolto 10 mila persone in Banca Marche, Carife, Banca Etruria e CariChieti. L’operazione riguarda proprio quella categoria di banche – le medie, piccole e minuscole – nella quale in questi anni si sono nascoste mele marce in grado di contagiare il risparmio degli italiani. E, per la prima volta, la vigilanza di Roma si può avvalere di tutti gli strumenti dell’Unione bancaria europea, anche a costo di imporre nuovi aumenti di capitale in varie piccole realtà dei territori.
“La Banca d’Italia ha avviato il procedimento relativo all’imposizione di un requisito patrimoniale specifico”, si legge nella lettera da Via Nazionale arrivata a centinaia di aziende di credito. L’autorità di vigilanza, si osserva nel documento, “può richiedere capitale aggiuntivo rispetto ai requisiti minimi a fronte della rischiosità complessiva di ciascun intermediario”. Proprio questa è la novità che la Banca d’Italia mette in chiaro con le aziende vigilate: “I ratios (requisiti, ndr) patrimoniali quantificati (…) hanno carattere vincolante”.
Significa che adesso cambia tutto anche per le banche piccole. Per la prima volta, forte delle regole europee, Via Nazionale comunica agli istituti di provincia d’Italia le sue valutazioni sulla loro solidità. Le pagelle non resteranno più chiuse negli hard disk di Palazzo Koch, come succedeva fino ad ora. Ma soprattutto, le raccomandazioni non potranno essere ignorate: la vigilanza indica tre livelli progressivi di robustezza del patrimonio che le banche devono superare (i cosiddetti Cet1, Tier1 e Total Capital ratio), fissando dei obblighi precisi per chi è sotto.
Per le banche fuori linea, scattano misure che in questi giorni stanno venendo alla luce e nei prossimi mesi porteranno a vari aumenti di capitale. In base alla liquidità, ai rischi degli investimenti e all’attività di credito, Palazzo Koch fissa specifici livelli di capitale per ciascuna azienda. E chi risulta al di sotto dei requisiti è obbligato a farlo sapere al pubblico da una comunicazione fatta circolare dalla Consob del 26 novembre scorso.
I primi casi stanno già venendo a galla. Il primo dicembre la Cassa di Risparmio di Cesena ha rivelato che non raggiunge uno dei tre livelli di robustezza patrimoniale richiesti, dunque lancerà un aumento di capitale “in tempi ravvicinati”. La banca ha anche ammesso che dovrà “potenziare il sistema dei controlli interni” e “migliorare sostanzialmente la qualità del credito”. Non è la sola. Il 3 dicembre anche Banca Carim di Rimini ha pubblicato una confessione simile: ha un “deficit” di capitale da ripianare “entro il 31 marzo 2016”.
Non è chiaro se emergeranno altri casi. Ma gli istituti fuori linea non hanno scelta: chi viaggia sotto i requisiti minimi non può premiare azionisti, creditori e dirigenti, dunque rischia la fuga degli investitori e dei manager. Anche le aziende sopra ai limiti, ma non di molto, dovranno rafforzarsi per garantire che non taglieranno le remunerazioni in futuro. Non è un caso se Banco Desio e Banca Base di Catania si sono già affrettare a pubblicare le proprie pagelle molto positive, in modo da rassicurare tutti. Altri invece tacciono, promossi sì ma forse non a pieni voti.
Così probabilmente nel sistema del credito dei territori, per il 2016, conterà più rafforzarsi che concedere prestiti. Ma ci sono anche sviluppi positivi: secondo gli ultimi dati ufficiali (vedi grafico) il volume di obbligazioni “subordinate” delle banche, le più a rischio di azzeramento in caso di dissesto, in realtà si sta riducendo. Valevano (in teoria) 68,9 miliardi nel 2010 e sono scese a 52,9 a giugno di quest’anno. Circa per la metà, sono in mano alle famiglie italiane.