Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 13 Domenica calendario

Controstoria dell’occupazione del Virgilio. La lettera di una professoressa

Gentile direttore,
insegno al Virgilio dal 2000 e forse, in questi quindici anni solo per un anno la scuola ha saltato l’appuntamento autunnale con l’«occupazione». Sono state occupazioni diverse, dirigenti e studenti si sono avvicendati, alcuni tra noi docenti, invece, sono stati e sono tuttora gli stessi spettatori partecipi di tali eventi.
L’occupazione di quest’anno è stata però diversa. Mai si è cominciato di pomeriggio, con la scuola quasi vuota, senza un’assemblea che l’approvasse, incappucciati e irriconoscibili.
Mai tale evento è balzato nelle cronache nazionali dei quotidiani, o sui Tg nazionali in prima serata. Mai il sottosegretario all’Istruzione è stato interpellato ed è intervenuto direttamente.
Cominciamo dai fatti. Per quindici giorni (più gli inevitabili giorni di strascico), un’istituzione pubblica è stata bloccata nello svolgimento della propria attività: fossero bloccati allo stesso modo un ospedale, una stazione ferroviaria, un tribunale, grideremmo allo scandalo e le forze dell’ordine interverrebbero subito per ripristinare la legalità: se accade in una scuola, invece, è normale, evidentemente perché quello che si fa a scuola è un passatempo, un baby sitting istituzionalizzato. E cambiare passatempo non è un gran danno. Se accade poi al Virgilio, liceo storico di Roma, frequentato da figli e nipoti di politici, intellettuali, giornalisti, non solo è normale l’occupazione, ma anormali sono il nostro sdegno, la ferita ricevuta al nostro ruolo, l’auspicio di poter ritornare a “fare scuola”.
Il Virgilio, però, non è solo “il liceo del centro”. Accanto ai “figli e nipoti di”, siedono coloro per i quali (ma no!?!) la scuola costituisce ancora un’occasione, l’occasione. Ragazzi che vengono da Ladispoli, Ostia, Primavalle ai quali non basta attraversare una strada o al massimo un ponte sul Tevere per raggiungere la scuola: ragazzi che trascorrono un’ora sul treno o sull’autobus per venire a sentire quello che noi insegnanti abbiamo da dirgli. Per loro la scuola deve ricominciare a funzionare.
Ci sono ragazzi dai cognomi impronunciabili perché pieni di consonanti (da dove verranno?), sono i futuri italiani, fiduciosi che la scuola italiana dia loro una chance in più. Per loro la scuola deve ricominciare a funzionare.
Ma anche per “quelli dai cognomi noti” la scuola deve riprendere, perché se anche loro rimarranno noti come i loro padri e i loro nonni, si ricordino che ciò che è patrimonio comune si difende, anche per cambiarlo, e che il potere non significa arroganza e dimenticanza di chi non ha parola.
Anche per noi insegnanti la scuola deve ricominciare a funzionare. Perché ogni lezione comincia con un “riconoscimento reciproco”, nel quale i nostri occhi incontrano quelli degli studenti, e sperano di illuminarli con quella che Aristotele chiamava “la meraviglia” (i genitori che tentano di insegnarci il mestiere sono gelosi di questo?). Tale riconoscimento non è possibile con chi si copre il viso, con chi ci dice “tu per me non hai valore, ha valore solo lo spazio, l’edificio che sei chiamato a custodire”.
Paola Orsucci
docente di Filosofia e Storia del Liceo Classico Statale “Virgilio” di Roma
Questa lettera è vibrante e vera. Ed è utilissima. Ringrazio la professoressa Orsucci per averla scritta, e per avermela fatta arrivare. Spero che lasci il segno in chi la leggerà, oggi su queste pagine e domani o, magari, tra undici mesi “incontrandone” le parole sul web.
L’occupazione del “Virgilio” è finita due giorni fa, e anch’io mi auguro che sia rapidissima la corsa per farlo «funzionare» di nuovo, riaprendolo ai docenti e ai milletrecento “non occupanti” su millecinquecento studenti. Conosco quel grande Liceo, so qualcosa anche dell’inesorabile e diseguale susseguirsi delle occupazioni d’autunno dei suoi spazi. E penso, non da oggi, da padre che ha sempre contato sulla ricchezza del rapporto tra le mie due figlie e i loro insegnanti, che le aule di scuola non sono mai soltanto spazi, ma sono anche preziosissimo tempo: tempo di vita e di crescita, radice di tempo futuro, del quale nessuno dovrebbe tentare di impadronirsi: né per tanto né per poco. Il tempo – e soprattutto il tempo della formazione – si può solo condividere e coabitare, meglio se con passione, certo con tutto il possibile rispetto.
Comunque, il mio giudizio su questa specifica occupazione coincide sostanzialmente con quello di Francesco Delzio, che sabato 5 dicembre, facendo eco alle parole della madre di una studentessa del “Virgilio”, ha scritto sulle nostre pagine di «rito-feticcio» ormai totalmente «inutile» e «diseducativo». Due aggettivi che trovano perfetta spiegazione nell’argomentazione serrata e coinvolgente della professoressa Orsucci. Ecco perché contribuisco con convinzione a rilanciarla. È come un buon seme, sono sicuro non l’unico sparso da questa insegnante e dai suoi colleghi. Che porti frutto.