Avvenire, 13 dicembre 2015
Gli omosessuali possono pregare?
La questione si può riassumere in due semplici domande. La prima: le persone omosessuali che vivono con disagio la propria condizione hanno il diritto di impegnarsi in un percorso di preghiera per trovare sostegno spirituale, per fare chiarezza dentro di sé, per mettere a confronto le proprie esperienze di vita con le ragioni della fede? La seconda: le stesse persone hanno il diritto di tentare questa verifica spirituale, che riguarda un aspetto così intimo della propria identità, in modo riservato e in luoghi protetti, lontano dai clamori, dai fraintendimenti e dalle facili ironie dei media? Se diciamo no, se pensiamo che questi diritti non debbano essere accordati, hanno ragione coloro che da alcuni giorni stanno alzando un assurdo polverone mediatico contro le iniziative dell’Apostolato Courage. Che puntano il dito contro le proposte di preghiera di questa associazione fingendo di equivocarne le finalità: non verifica spirituale ma tentativo di ’guarigione’ dall’omosessualità. Obiettivo che, inteso in questi termini, denota superficialità, approssimazione o, peggio, volontà di strumentalizzare la condizione esistenziale di persone che soffrono. Se invece rispondiamo sì, è evidente come tutto questo clamore sia del tutto ingiustificato, trasudi intolleranza ed esprima una volontà di discriminazione al contrario.
Ma cosa è capitato di così grave per scatenare l’indignazione politically correct dei soliti, impavidi custodi dell’ortodossia laicista? L’Apostolato Courage – fondato nel 1980 dal servo di Dio Terence Cooke, arcivescovo di New York, per aiutare chi è attratto da persone dello stesso sesso a vivere la propria condizione in modo coerente con gli insegnamenti della Chiesa – ha organizzato nei giorni alcuni momenti di preghiera a Reggio Emilia, Torino e Roma. Si tratta di iniziative che fanno parte di un percorso, liberamente proposto e altrettanto liberamente accolto da chi decide di aderirvi, fondato su due obiettivi: la riflessione sulla propria sessualità e l’accoglienza della Parola di Dio come regola in base alla quale organizzare la propria vita. Difficile cogliere in questo programma spirituale un’offesa alle condizioni delle persone omosessuali e, soprattutto, la volontà di proporre una ’terapia riparativa’. Pratica psicoterapeutica ormai desueta e che vuol dire tutto e niente, ma che per le lobby gay si è trasformata in una parola d’ordine per una sorta di indignazione a comando. Così è bastato che un settimanale raccontasse in modo del tutto parziale le iniziative dell’Apostolato Courage e che gli stessi episodi venissero rilanciati, con le stesse modalità a senso unico, da quotidiani locali, siti internet e social, per scatenare reazioni spropositate. In campo politici, amministratori e associazioni omosessuali. Pacata la risposta della Chiesa. La diocesi di Reggio Emilia, confermando il suo appoggio alle attività di Courage, ha espresso dolore per il fatto che persone «che si ritrovano a pregare siano violate così pesantemente nella loro privacy». Mentre la diocesi di Torino ha sottolineato come sia inaccettabile che «incontri e riunioni a cui le persone partecipano liberamente e con la garanzia della riservatezza vengano strumentalizzati per ottenere una qualche porzione di ’visibilità’. Non è in questo modo che la Chiesa di Torino è impegnata nel confronto e nell’accompagnamento delle persone che vogliono confrontarsi sulla propria sessualità in relazione alla vita spirituale».
Sul caso anche l’intervento diretto di Courage Italia che in un comunicato sottolinea come «molte persone ritengono legittima e attraente una proposta di vita affettiva in armonia con l’antropologia cristiana». Inoltre, si fa notare, «la castità non è un ’obbligo’ ma viene vissuta come scelta di amore per Dio e per gli altri». Scelta che merita rispetto «indipendentemente dall’orientamento sessuale». Respinta con molta fermezza l’accusa di praticare terapie di guarigione: «Ogni uomo o donna che partecipa liberamente alle attività di Courage sa che lì può trovare aiuto spirituale, accoglienza e amicizia, ma non una terapia medica, come viene ricordato all’inizio di ogni incontro». Difficile cogliere in queste iniziative pastorali le ragioni di proteste così veementi. A meno che non si voglia riconoscere il fatto che talvolta anche gli omosessuali vivono momenti di sofferenza e hanno bisogno, come tutti noi, di accoglienza e vicinanza. La vita non è solo gaiezza spensierata.