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 2015  dicembre 13 Domenica calendario

Lo sfogo di Claudio Gentile

«Nel 2004, la mia Under 21 vinse gli Europei e il bronzo olimpico ad Atene, una medaglia che mancava dai Giochi di Berlino del 1936. E di quel gruppo, setto poi sono diventati campioni del mondo nel 2006: Gilardino, De Rossi, Zaccardo, Iaquinta, Pirlo, Barzagli e Amelia. Ma di questo non si ricordano e non ne scrive mai nessuno». È lo sfogo pacato di Claudio Gentile, classe 1953, campione del mondo a sua volta al Mundial di Spagna ’82, pupillo di Bearzot e Trapattoni, bestia nera di numeri “10” del calibro di Zico e Maradona. Per fortuna Platini giocò con lui nella Juventus, di cui il tripolitano Gentile è stato una bandiera dal 1973 al 1984, per poi passare un triennio (’84-’87) quasi finale (ha chiuso nel Piacenza) alla Fiorentina dei Pontello.
Nel giorno di Juventus-Fiorentina, fa un po’ specie a ripensare a quel passaggio dal bianconero al viola. Qualcuno all’epoca gli avrà dato del “traditore”...
«Nessuno si è mai permesso. Gli juventini sanno bene che per quella maglia ho dato l’anima. A Firenze sono andato da professionista con alle spalle una carriera che parlava da sola per il sottoscritto e ho dato tutto fino alla fine».
Ammetterà che quelli erano anni in cui la rivalità tra Juve e Fiorentina aveva superato i livelli di guardia.
«Colpa dello scudetto 1981-1982 deciso all’ultima giornata. Noi vinciamo a Catanzaro (rigore di Brady), la Fiorentina pareggia a Cagliari e scoppia un putiferio... Poi nel tempo ci hanno pensato gli ultrà, da una parte e dall’altra, ad avvelenare ancora di più gli animi. Oggi spero che la gente si concentri solo sul campo dove si sfidano due squadre vincenti e che danno spettacolo, in Italia e in Europa».
Quello tra i ragazzi di Max Allegri e di Paulo Sousa è di nuovo un match che può valere lo scudetto?
«Sono due allenatori molto bravi e preparati e i risultati si vedono. Chi vincerà? Non lo so... Io ho continuato a simpatizzare Fiorentina, ma se la Juve dovesse conquistare il quinto scudetto di fila per l’Italia che non tifa bianconero sarebbe noioso, però per il sottoscritto si tratterebbe dell’ennesima grandissima gioia».
Ecco il Gentile vecchio cuore bianconero. Di recente lei su Gazzetta Tv si è addirittura commosso in diretta rivedendo le immagini della sua Juventus.
«Naturale. Oggi tanti millantano di essere juventini, ma quelli autentici sono coloro che lo erano anche prima di arrivare a giocarci. Come me: a otto anni a Tripoli – dove viveva la mia famiglia – mio zio mi regalò la maglia bianconera, ma è quando sono arrivato in Italia che ho ca- pito cosa fosse davvero la Juventus… Molto più di una squadra. E appena entrai in contatto con l’Avvocato Agnelli, Boniperti, Trapattoni e i compagni, ho avvertito forte la sensazione che questa società sarebbe rimasta una parte fondamentale della mia vita».
Dopo la Fiorentina, alla Juventus è tornato come osservatore chiamato dal presidente Boniperti e nel 2006 è stato ad un passo dal diventarne l’allenatore.
Poi cosa è successo?
«È accaduto come per certi matrimoni annunciati che anche se i due si amano alla follia a volte poi non arrivano all’altare. Ma ho conservato ottimi rapporti con la società attuale, seguo la squadra allo Juventus Stadium e anche in trasferta. Quell’anno comunque persi anche un’altra grande occasione».
Allude a un’altra panchina importante?
«La più importante, quella della Nazionale maggiore. Lo scandalo di Calciopoli stava per portare alle dimissioni di Lippi e il candidato principale per gran parte della Federazione, anche alla luce dei successi ottenuti con l’Under 21, ero io».
Parentesi Calciopoli: la Juventus venne retrocessa in B e due scudetti furono scuciti dalle maglie bianconere. E di quelli il presidente Andrea Agnelli continua a pretendere la restituzione.
«E ha ragione. La Juventus quei due scudetti li vinse sul campo per manifesta superiorità, come testimonia la finale Mondiale del 2006 Italia Francia: in campo la maggioranza dei giocatori era juventina. La Juve ha pagato per tutti, perché poi gli scandali sono continuati e oggi c’è gente che dopo essere stata in galera è tornata in campo o ricopre ruoli dirigenziali. Se per certi illeciti sportivi venisse introdotta la radiazione dal mondo del calcio, forse in molti ci penserebbero prima di taroccare partite e campionati».
Chiusa parentesi, torniamo al suo 2006: perché da quel momento la Federazione ha praticato una sorta di ostracismo nei suoi confronti?
«Perché non ho mai ceduto al canto delle sirene e non mi sono mai piegato al giochino del convocare o far giocare i “raccomandati” al posto dei più bravi e dei meritevoli. Ho destabilizzato il mercato di certi club che facevano pressing sulla Federcalcio, del resto anche una sola presenza con la maglia azzurra alza il prezzo del cartellino del giocatore e questo fa gola, soprattutto ai procuratori – io non ne ho mai avuto uno – ma un po’ a tutto il sistema, che da quel momento mi ha bollato come un nemico».
Nel 2016 saranno dieci anni da quando non siede più su una panchina, possibile che non abbia avuto offerte per rientrare?
«Faccio notare che di quel gruppo del 1982 allena solo il mio amico Cabrini, che è il ct della Nazionale femminile. Io ho avuto diverse richieste, ma quasi tutte dall’estero. Su di me poi hanno messo in giro delle falsità, tipo che ero un protetto di Moggi e che non mi interessa allenare al di sotto della Serie A. Se un presidente con un progetto serio mi chiama io ci sono, ma nel frattempo sono qui a domandarmi: perché mi deve essere impedito di allenare in Italia?
Ormai è una sfida, magari la perderò… Ma nella vita io mi comporto come quando scendevo in campo, lotto con lealtà e non mollo mai».
Ecco lo spirito dell’ ex “ministro della Difesa”. Ma la nostra scuola difensiva è davvero in crisi profonda?
«Purtroppo sì. Siamo passati dalla scuola più forte e invidiata al mondo, a quella in cui vedi gli attaccanti che si permettono di segnare valanghe di gol arrivando a tirare o colpire di testa indisturbati dentro l’area piccola. Ai nostri tempi era inconcepibile che un difensore concedesse certi lussi».
Chi pensa che Chiellini è un suo erede dice un’eresia?
«Un po’ sì – sorride –. Massimo rispetto per Chiellini, che ho avuto nell’Under 21, ma io alla Juve ho giocato da mediano, da centrale difensivo e prima di diventare il terzino destro Trapattoni, l’anno in cui vincemmo la Coppa Uefa (1977), mi inventò terzino sinistro, e forse disputai la mia migliore stagione».
Come se lo spiega che Allegri non ha ancora fatto debuttare Rugani?
«Allegri ad inizio stagione ha tenuto in panchina anche Dybala e ha avuto ragione: giocare nel Palermo non è la stessa cosa che alla Juventus. Il discorso vale anche per Rugani, viene dall’Empoli ed evidentemente ha bisogno ancora di tempo per maturare. Comunque posso testimoniare che se sei uno “da Juve” prima o poi entri e dopo non esci più, perché a quel punto sei diventato un campione».
Lei è uno dei pochi che non ha mai considerato Cassano un campione e quan- do era il suo ct aveva predetto una carriera molto tormentata per il ragazzo di Bari Vecchia.
«Purtroppo non sono stato smentito e Cassano non ha mai chiesto scusa per avermi mancato di rispetto... Balotelli? Al Milan ha l’ultima chance per dimostrare di essere un campione o un calciatore come tanti. Attualmente c’è un solo talento italiano che in prospettiva può diventare un grande del calcio mondiale: Verratti, ha tutto per diventare il nuovo Pirlo».