il Fatto Quotidiano, 13 dicembre 2015
Quel Peter Pan di 40 anni suonati che si (pre)occupa dei titoli dei giornali anziché di quelli tossici
Che un bimbominkia si diverta a far votare dai compagnucci della parrocchietta Leopolda il peggior titolo di giornale fra una gamma di 16 (di cui 11 del Fatto), ci può stare: ciascuno si diverte come può, specie se è affetto dalla sindrome di Peter Pan e a 40 anni suonati indossa ancora il chiodo di Fonzie e, abbandonati la playstation e il calciobalilla dopo la scomparsa di Orfini, si riduce a giocare ai trenini immaginari in una vecchia stazione in disuso. Il problema, semmai, è che il bimbominkia fa pure il segretario del primo partito italiano e, incredibile ma vero, il presidente del Consiglio. E dovrebbe occuparsi, anziché dei titoli di giornale, dei titoli tossici spacciati dalle banche amiche di suo padre e di papà Boschi a migliaia di risparmiatori finiti sul lastrico o indotti al suicidio. Ma il premierminkia va ringraziato per il giochino di società ideato dal suo trust di cervelli nel tentativo disperato di resuscitare una Leopolda morta e sepolta, dove nessuno dei Vip millantati alla vigilia ha voluto farsi un selfie con lui e la sua presunta nuova classe dirigente ggiovane e fichissima consiste in qualche vecchia cariatide quattrostagioni e in parecchie sciure in botox, pelliccia e menopausa.
Davvero non c’era miglior modo per illustrare a chi non l’avesse ancora capito il suo concetto di libera informazione. Si dirà: anche Grillo, due anni fa, inaugurò sul blog il terrificante concorso “Il giornalista del giorno”, facendo di tutt’erba un fascio fra chi doverosamente lo critica (noi compresi) e chi meno legittimamente lo diffama con accuse calunniose e notizie inventate. Vero. La differenza è che Grillo è all’opposizione, per sua fortuna sprovvisto di giornali, tg e reti televisive. Renzi è il capo del governo, dispone di un giornale di partito ufficiale e molti altri ufficiosi, nonché di tre quarti di Rai e mezza Mediaset al suo servizio. Sopravvivono purtroppo in tv un paio di talk show liberi, subito da lui additati e dai suoi giannizzeri manganellati, e in edicola una manciata di testate che non gli leccano il culetto. Il che per lui è francamente insopportabile. Tant’è che gli 11 titoli del Fatto messi alla berlina come “balle” dalla sua Top Eleven contengono altrettante verità indiscutibili e note a tutti: come spieghiamo in dettaglio a pag. 2, è purtroppo vero che molti insegnanti han dovuto emigrare lontano da casa per uno straccio di lavoro malpagato, che il Jobs Act non ha prodotto le centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro annunciati, che da mesi i sondaggi sui 5Stelle inquietano il Pd.
Ed è indiscutibile che il governo Renzi è stato puntellato infinite volte dal soccorso azzurro di B. (per non parlare di Verdini), che l’articolo 18 è stato smantellato malgrado l’impegno contrario del premier, che Landini è diventato la bestia nera di Renzi e così via. E il fatto che il premier contesti proprio i titoli più veritieri, senza smentirvi eventuali falsità o inesattezze, la dice lunga sulla sua attitudine congenita alla bugia e sulla sua allergia patologica alle critiche argomentate e documentate. Si replica il triste copione del regime berlusconiano, quando i pochi giornali e giornalisti liberi venivano messi alla gogna con editti più o meno bulgari e liste di proscrizione. B. comandava sugli editori, nominandoli o ricattandoli: infatti riuscì a far cacciare Biagi, Luttazzi, Santoro, Freccero, Massimo Fini e tanti altri dalla Rai, poi De Bortoli dal Corriere, poi Fazio e Lerner da La7, infine Colombo e Padellaro dall’Unità con la gentile collaborazione dei Ds. Lo stesso fa o tenta di fare oggi Renzi, con una piccola differenza: che da sei anni esiste un quotidiano – il nostro – che non risponde a nessun padrone fuorché ai suoi lettori e non prende soldi dallo Stato né da banche né grandi imprese, ma solo da chi lo acquista in edicola o vi si abbona. Per questo Renzi ci mette nel mirino: perché non riesce a metterci in riga. Il suo modello di giornalismo sono le penne alla bava che alle conferenze stampa, anziché fare domande, lo applaudono. I vecchi trombettieri craxiani, dalemiani e berlusconiani riciclati dal renzismo all’insegna della rottamazione. Il Johnny Riotta che a Cernobbio fa il capoclaque invocando “un bell’applauso per il presidente Renzi, lo racconterete ai vostri nipoti!” e subito ottiene un bel programma in Rai (peraltro clandestino). Il Vespa che paragona la Boschi a Santa Teresa d’Avila (quella del Bernini) e poi presenta il suo ultimo capolavoro prima con Renzi poi con la Boschi.
Ma il suo modello supremo è la “nuova” Unità, riesumata (che Dio lo perdoni) per rendere meno dolorosa l’assenza della Pravda, ma soprattutto della stampa satirica e umoristica, con titoli di prima pagina – quelli sì – da affissione: “Roma Caput Mundi”, “Dio benedica Francesco”, “Ci vediamo in piazza”, “Il clima è già bollente”, “L’Italia è già in prima linea”, “Italia Coraggio”, “Come vincere la guerra”, “Allons enfants”, “Mai più precari”, “Siamo stati promossi”, “Forza Sud”, “Bentornata fiducia”, “Migranti, l’Europa parla italiano”, “Expo, ha vinto l’Italia”, “È scattata l’ora legale”, “E le tasse vanno giù”, “Fuori dal tunnel”. Solo per limitarci all’ultimo bimestre. Roba che non solo Antonio Gramsci, ma anche Emilio Fede e perfino Alessandro Pavolini sarebbero arrossiti un po’. Però a Renzi proponiamo un patto. Noi, appena ci regge lo stomaco, siamo pronti a titolare a caratteri cubitali un impetuoso “Va tutto bene”. Lui però, in cambio, si decide a pubblicare le note spese delle sue cene “istituzionali” (come no) da sindaco di Firenze a carico dei contribuenti. Così potremo finalmente lanciare il grande concorso “Vota anche tu lo scontrino dell’anno”. Ci fa sapere?