Libero, 13 dicembre 2015
Alla conquista dell’Iran. Sono 350 gli imprenditori italiani pronti a puntare tutto su Teheran
Dopo circa 20 anni, l’Iran sciita sta per vedere crollare le barriere finanziarie dovute all’embargo. Al di là dei luoghi comuni e della contrapposizione alimentata anche dalle proiezioni dei media, i mercati si troveranno a breve a vivere sicuramente una serie di sorprese positive.
Innanzitutto i due decenni di embargo hanno reso Teheran una grossa anomalia tra i Paesi produttori di petrolio. Nonostante sia il secondo per capacità produttiva nel comparto gas, circa il 60% del Pil attuale non proviene dall’energia, ma da industria, servizi e agricoltura. Il Paese produce 1,4 milioni di vetture all’anno e tutte in modo autonomo. Sono poche ma punta a farne oltre 3 milioni entro il 2018. Insomma, esiste un mercato interno che, una volta sbloccati gli ultimi vincoli finanziari, potrà anche godere dei 200 miliardi di dollari congelati negli istituti occidentali. La scorsa settimana il vice ministro Carlo Calenda assieme all’omologo iraniano hanno portato a termine una visita istituzionale accompagnando oltre mille imprenditori, di cui 350 italiani. Numeri così non si erano mai visti in alcuna missione di sistema italiana. Nella stessa occasione i due politici hanno inaugurato l’ufficio della Iws (Italy World Services) aperto da poche settimane dall’ex vice ministro al commercio estero, Adolfo Urso. Dopo l’esperienza politica, Urso ha continuato a viaggiare, soprattutto a Teheran dove lavora per stimolare i rapporti economici con l’Italia e aiutare aziende tricolore a mettere piede in un mercato che promette di fare boom. Nel senso di crescere a due cifre, a differenza delle altre nazioni arabe. La sua esperienza è una interessante cartina al tornasole per capire quanto stia accadendo. «Dopo gli anni in politica, ho avviato una società di consulenza per chi a diverso titolo vuole operare all’estero. Dalla Bulgaria all’Estremo Oriente, passando per Africa e Cuba», spiega Urso. «Ma è in Iran che abbiamo aperto un ufficio perché questo che sta iniziando è il semestre decisivo». A fine gennaio, al massimo a febbraio, cadrà l’embargo sulle transazioni finanziarie. Il che significa che in primavera aziende e consumatori iraniani potranno acquistare direttamente i nostri prodotti. «Questa novità», continua Urso, «avrà un fortissimo impatto su tutta l’area e sull’Europa. Circa un terzo del Pil degli Emirati Arabi è costituito da transazioni finanziarie verso l’Iran. Dal 2016 non ci sarà più bisogno di fare triangolazioni e i capitali torneranno ad affluire liberamente stimolando un mercato interno che è già strutturato». Per gli Emirati e la penisola sarà un duro colpo. Non a caso l’area mediorientale è in guerra. Sciiti e sunniti sono più che mai ai ferri corti. E l’uscita dall’embargo di Teheran darà un nuovo scossone all’equilibrio già precario. «Ma non è detto che gli effetti siano negativi. Soprattutto per chi commercia. In questo panorama duale», continua Urso, «l’Iran si inserisce con la propria peculiarità. Pur essendo islamico non è un Paese arabo. Soprattutto non è un emirato. Vi convivono molte etnie e soprattutto molte correnti di potere. Il che permetterà un accesso alla ricchezza e non una semplice distribuzione a livello tribale».
Se la popolazione giovane e istruita darà impulso ai consumi ciò che invece richiede una grande componente straniera è lo sviluppo delle infrastrutture. La prossima settimana si terrà a Roma un meeting promosso dall’Ance. Il tema dominante sarà l’Iran. Perché il governo locale ha stanziato circa 30 miliardi di dollari nella logistica dell’oil&gas e altri 15 miliardi per infrastrutture civili. La compagnia aerea di bandiera ha prenotato 400 velivoli che avranno bisogno di nuova tecnologia a terra. Servono almeno tre nuove linee ferroviarie e un deciso input al trasporto su gomma.
Nel complesso, secondo dati Sace, la cessazione «del quadro sanzionatorio potrebbe portare a un incremento dell’export italiano nel paese di quasi 3 miliardi nel quadriennio 2015-2018». In poche parole in soli tre anni si tornerebbe al livello di 10 anni fa. La stessa Sace ammette però che con la caduta totale delle barriere le statistiche subirebbero uno choc. Infatti, si legge nello studio datato luglio che «in assenza di sanzioni, l’Italia avrebbe potuto cumulare maggiori esportazioni per un valore di 17 miliardi». Con tali numeri e politica a parte si capisce perché tante aziende italiane guardino a Teheran.