Alias - il manifesto, 12 dicembre 2015
L’avventura galattica dei romanzi di Urania
Un’antologia Garzanti, Universo e dintorni, curata da Inìsero Cremaschi nel 1978, allineava in 29 racconti la «meglio gioventù» della fantascienza italiana. L’introduzione, inoltre, forniva una rapida cronistoria del genere risalente addirittura alle Operette morali di Leopardi – una buona e lunga vista se anni dopo Mario Martone in un paio di passaggi del suo Giovane favoloso pigia senza tentennamenti anche sul pedale del fantastico – e fermandosi all’invenzione del celebre neologismo italiano non disdegnava, come era di prassi, nel giocare al far «fuori i nomi».
Nei pedoni schierati sulla scacchiera della fantascienza «all’italiana», prima degli specialisti del genere come Aldani, Curtoni, Rambelli, Prosperi, figuravano meritevoli di menzione, cogliendo il più ampio arco temporale possibile, il Salgari delle Meraviglie del 2000 e il Buzzati del Grande ritratto. Due romanzi che, alla lettura e con i rispettivi limiti, fuoriescono dalla letteratura nazionale e sembrano dialogare con molta letteratura popolare e di genere europea. In particolare Il Grande ritratto per alcune suggestioni filosofico-erotiche s’avvicina al coevo capolavoro di Stanislaw Lem, Solaris.
Deviazioni doverose che non scantonano dalla curiosità, invero bizzarra, che manchi in elenco Urania; il che rende questo tentativo di sistemare storicamente la nascita e lo sviluppo della fantascienza in Italia monco già dalla stesura finendo con l’intero libro, sopratutto nella parte antologica, cannibalizzata negli anni dalla collana mondadoriana. Si potrebbe immaginare il motivo in qualche oscuro contendere commerciale. Forse. Ma gli anni, seppelliscono anche le diatribe più accese figuriamoci questa infelice omissione. Però recuperata, a posteriori, dalla presenza nell’antologia di Giuseppe Lippi, impegnato in una delle sue rare prove narrative, e che di lì a poco più di un decennio, nel 1989, sarà nominato curatore della più prestigiosa collana di fantascienza in Italia fino a diventarne il più longevo e ancora in sella dei suoi sessant’anni e più di storia.
Ora questa storia è diventata narrazione, quasi cubistica, per le molte prospettive sia oggettive sia soggettive adottate, perché a scriverla è proprio Giuseppe Lippi in Futuro alla Gola. Una storia di «Urania» dagli anni Cinquanta al XXI secolo (Edizioni Profondo Rosso di Luigi Cozzi, 2015). Dunque, il periodo pionieristico della gestione Giorgio Monicelli, fratello del regista Mario e dello scrittore Furio, traduttore di Malcom Lowry come di Ray Bradbury (i romanzi Sotto il Vulcano e Cronache Marziane danno la misura della raffinatezza del suo magistero), coniatore del termine «fanta-scienza» (il trattino cadde più tardi), fu quello che consegnò finalmente e a grande tiratura nelle edicole un genere, come dimostrato toccato lateralmente dalle lettere italiane, ma che per la Mondadori poteva affiancarsi ai Gialli che già da più di vent’anni erano preda di avidi lettori. «I romanzi di Urania» partirono nel 1952 occupando e affiancando gli spazi, nel giro di pochi mesi, della rivista Urania: primi autori Latham, Leiber, Matheson. Più tardi arrivarono Van Vogt, Asimov, Brown, Bradbury, Heinlen. E ancora Schekley, Sturgeon e Clarke. Difficile star dietro alle uscite, divise in più sottocollane ancor oggi, come alle cadenze più o meno periodiche (settimanali, quindicinali, mensili perlopiù in sintonia con le cicliche crisi editoriali). Meglio la grafica, pur evolutasi nel tempo, ha conservato la prerogativa di aver copertine d’autore affidate a illustratori e pittori come Kurt Caesar, Carlo Jacono, Ferenç Pinter, Karel Thole e Franco Brambilla. Nel 1961, avvenne l’avvicendamento del curatore-fondatore (da dividersi con Alberto Mondadori, il figlio poeta di Arnoldo) alla guida del periodico. Nel ’62 fu chiamato dapprima Carlo Fruttero, due anni dopo affiancato da Franco Lucentini, lontani ancora dall’essere la premiata ditta di best-sellers come La donna della Domenica o La trilogia del cretino. Allora il primo, già traduttore di Aspettando Godot, era reduce dall’impresa einaudiana con Sergio Solmi delle Meraviglie del possibile, la più celebre e studiata delle antologie di fantascienza (ma quanto debitrice di Urania come sottolinea Lippi), mentre il secondo, più appartato, era scrittore in odore di avanguardia (il plurilinguistico I compagni sconosciuti e l’afasico Notizie dagli scavi). Tutti e due riuscirono ad imprimere alla collana una fisionomia riconoscibile e di grande successo, aprendo anche a rubriche e fumetti. Dopo la parentesi alquanto burrascosa di Gianni Montanari, a cui però si deve il premio Urania, che nel 1985 raccolse l’eredità di Fruttero&Lucentini, ormai diventati inseparabili, concludendo la sua avventura quattro anni più tardi, la storia di Urania comincia a soggettivarsi nel racconto.
Come detto Lippi ne prende le redini e la sua vista «dal di dentro» consegna al lettore una nuova prospettiva di narrazione: le diagnosi diventano prognosi, il dibattito si fa serrato anche con l’avvento delle nuove tecnologiche, e lo stesso genere pare superato da queste, si costruiscono altri itinerari editoriali, convergono più forze ad allargare il campo, si esplorano le produzioni europee e asiatiche (un’antologia cinese è ancora formidabile), lo spazio italiano conquista più uscite all’anno, si consolidano le traduzioni, spesso i grandi romanzi o cicli vengono revisionati. Insomma, una grande avventura del secondo novecento che cerca di farsi strada nelle misteriose incognite di questi primi anni dieci del XXI secolo.