Panorama, 10 dicembre 2015
Libera e i pentiti dell’antimafia
Manca solo che i dissidenti li chiami mafiosi. Senza una vera scomunica ma con un sms, Don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione antimafia Libera, ha espulso Franco La Torre, figlio di Pio La Torre, perché colpevole di lesa maestà. La Torre, nell’assemblea di Libera ad Assisi del 7 novembre, ha denunciato assenza di democrazia nell’associazione, rendite prodotte dall’antimafia, abusi nella gestione dei beni confiscati. Ha criticato Don Ciotti: «Personaggio paternalistico con aspetti autoritari».
Le parole di La Torre sono crepe che segnano la fragilità di un monumento finora inviolabile, e addirittura celebrato con un documentario (Sono cosa nostra di Simone Aleandri prodotto da Rai Cinema) presentato al Nitehawk di Brooklyn alla presenza dello stesso Don Ciotti, trasportato oltreoceano come si fa con i divi. Da eterodosso, La Torre, ha rivelato quel che i numeri avevano già reso evidente: 1.600 cooperative che a Libera fanno riferimento, la gestione di 1.400 ettari di terreni confiscati alle mafie, un fatturato dichiarato di 6 milioni, 126 operatori impiegati.
In Italia nessun’altra associazione ha tanto potere d’influenza e condizionamento quando si discute di lotta ai cartelli, si riscrive il diritto o si spartiscono i beni dei clan. Non è un caso che il nuovo Codice antimafia varato alla Camera, ora in esame al Senato, sia stato intrecciato da Davide Matiello, ex dirigente di Libera e oggi deputato del Pd. La nuova legge ha esteso il potere di sequestro a chi commette reati contro la pubblica amministrazione, prevede la paralisi di economie e redditi non attraverso prove e documenti accertati ma solo per sospetto.
Libera ha distaccato i suoi tecnici in politica con successo nel caso di Matiello, meno per quanto riguarda Gabriella Stramaccioni, vicepresidente dell’associazione bocciata dagli elettori alle ultime politiche nelle liste di Rivoluzione civile, il partito dell’ex pm Antonio Ingroia. A Palermo, il giudice Silvana Saguto, protagonista dello scandalo della cattiva gestione dei beni confiscati, ha dichiarato di essersi rivolta a Libera: «I nomi degli amministratori giudiziari li abbiamo chiesti a Libera e ad altre associazioni». La Torre lamenta che, se non c’è stata complicità, di sicuro c’è stato omesso controllo. È accaduto anche a Roma, dove Don Ciotti ha dovuto accettare «con dolore» le dimissioni di Enrico Fontana, fino a pochi mesi fa direttore di Libera, che alla vigilia dello scoppio dell’inchiesta Mafia capitale si sarebbe incontrato con ambientalisti finiti nelle indagini. Chi ha sostituito Fontana, Luigi Loschi, è al centro di un conflitto d’interesse. Nell’ultimo anno altri uomini di Libera sono stati invitati a lasciare: Francesca Rispoli e il vicepresidente Carlo Andorlini, indagato dalla Corte dei conti nella precedente veste di capo di gabinetto del sindaco di Campi Bisenzio.
Trattato come un delatore, La Torre è stato criticato dall’ex magistrato Gian Carlo Caselli per il «fuoco amico» e per i suoi turbamenti, un’indebita «crisi di fiducia». Preparatevi così al salto storico e logico: dopo i pentiti di mafia sono arrivati anche i pentiti dell’antimafia.