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 2015  dicembre 10 Giovedì calendario

Botta e risposta con Barbara Serra, giornalista italiana di Al Jazeera

Era tempo che i giurati maschi del premio 12 Apostoli, i quali fanno in tutto 847 anni di vita con un’età media di 70, rivolgessero finalmente l’attenzione a una donna (un solo precedente in 39 edizioni, Rita Levi Montalcini nel 1991) e soprattutto a una quarantenne, Barbara Serra. È stato Sergio Romano (86 anni) a indicarla per primo come vincitrice, subito appoggiato da Luca Goldoni (87) ed Ettore Mo (83), che con la maggioranza del cenacolo l’hanno preferita a Mario Calabresi e Pierluigi Battista, gli altri due nomi della terna.
Che cos’abbia di tanto speciale questa collega nata a Milano nel 1974 da padre sardo e madre siciliana, cresciuta a Copenaghen, diplomata in relazioni internazionali alla London school of economics, un curriculum che include Cnn, Bbc, Sky News e Channel 5 e un debole per gli uomini che la fanno ridere, è presto detto: prima giornalista non di madrelingua inglese a condurre un tg rivolto al pubblico britannico, oggi è l’unico volto italiano di Al Jazeera, che le ha affidato i telegiornali trasmessi dagli studi di Londra fra le 20 e le 23.30, quelli seguiti con particolare attenzione alla Casa Bianca. Se ti azzardi a ipotizza¬re che nel 2006 l’abbiano scelta per inaugurare Al Jazeera English a motivo della sua avvenenza mediterranea, tale da farla sembrare un’araba, si rabbuia: «Che c’entra, scusi? Lavoro nella redazione più cosmopolita del mondo: scozzesi, egiziani, sauditi, francesi, australiani, sudafricani, americani». Invece non se la prende quando il canale all news dell’emittente qatariota viene scambiato per un’organizzazione terroristica: «M’è capitato all’hotel T di Cagliari. Alla reception mi hanno accolto così: “Ben arrivata, signora. Lei lavora per Al Qaeda, vero?”».
Equivoco comprensibile. Al Jazeera appartiene all’emiro del Qatar, Hamad Bin Khalifa Al Thani.
E con ciò?
Di recente Report ha intervistato proprio qui a Londra un trafficante d’armi italiano in affari con l’Isis, il quale sostiene che a finanziare i tagliagole dello Stato islamico è il Qatar.
Non ho per editore il Qatar. Al Jazeera è indipendente. Le ricordo che il centro operativo per le missioni aeree della coalizione anti Isis si trova nella base militare Al Udeid, in territorio qatariota. Se ci fossero prove schiaccianti di doppiogiochismo, immagino che Usa, Francia, Regno Unito e Germania reagirebbero. Il cosiddetto Stato islamico sa come finanziarsi da solo, con traffico di petrolio, tasse, estorsioni, riscatti pagati per gli ostaggi, mercato nero
di reperti archeologici.
Si dice che il Qatar foraggi anche il Fronte Al Nusra, legato ad Al Qaeda.
Le autorità di Doha smentiscono. Non negano invece di sovvenzionare un altro gruppo di ribelli in Siria, Ahrar Al Sham, islamisti considerati pericolosi dai Paesi occidentali. Ecco il punto. Formazioni definite terroristiche da Europa e Stati Uniti sono viste in tutt’altra maniera
nel mondo arabo.
Per quale motivo l’emiro Al Thani avrà investito 150 milioni di dollari per fondare Al Jazeera e dal 1996 ne spende altri 30 ogni anno per ripianare il deficit?
Quasi tutti i canali all news del mondo non solo non fanno profitto, ma perdono soldi. Tanti soldi. Perché i proprietari si ostinano a tenerli aperti? Lo chieda a loro. A me importa solo d’essere lasciata libera di svolgere il mio lavoro.
Saman Abdul Majid, portavoce di Saddam Hussein, trovò riparo ad Al Jazeera.
Stiamo parlando di 12 anni fa. Io non c’ero.
Il vostro direttore generale, Mohammed Jasim Al Ali, sospettato d’essere una spia di Saddam, fu costretto a dimetter¬si dopo la caduta del rais.
Le ho appena risposto.
Il vostro inviato di punta, Tayseer Allouni, unico giornalista al mondo a intervistare Osama Bin Laden dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, è stato condannato a sette anni di galera in Spagna come fiancheggiato¬re di Al Qaeda.
Solo perché le videocassette di Bin Laden arrivavano a Doha non significa che la tv fosse un covo di infiltrati. Dei 10 anni di Al Jazeera English posso solo dirle che abbiamo vinto i premi televisivi più prestigiosi, dagli Emmy al New York tv festival, facendo buon giornalismo.
Nei vostri notiziari chiamavate «marti¬ri» gli attentatori suicidi.
Il canale inglese non ha mai usato questo termine. Che in arabo ha un significato diverso.
Dopo la carneficina di Parigi, ritiene che la risposta militare di François Hollande, appoggiato da Barack Obama, David Cameron e Angela Merkel, sia l’opzione giusta?
Credo che sia un male necessario. Ma non dobbiamo farci illusioni. Non si distruggono le ideologie con i bombar¬damenti. E l’inevitabile massacro di civili rafforzerà l’astio verso l’Occidente.
Che cosa si dice dell’Isis ad Al Jazeera?
Lasciamo che le loro atrocità parlino da sole. Da anni denunciamo il vuoto politico in Siria e la corruzione in Iraq che hanno facilitato la crescita dello Stato islamico. Le prime vittime dell’Isis sono i musulmani.
Ma i kamikaze jihadisti chi sono? Seguaci del Corano? Drogati strafatti di Captagon? Giovani disperati stanchi di vivere?
Dipende dalla loro provenienza. Sicuramente fra quelli arruolati in Europa prevale la terza opzione. Ma sono anche ignoranti con una forte componente sadica.
Al Jazeera è stata accusata di non aver preso posizione contro il massacro compiuto dai jihadisti nella redazione di Charlie Hebdo. Salah Aldeen Khadr, vostro produttore esecutivo, ha scritto ai colleghi: «Veramente è stato un attacco alla libertà di espressione?».
Salah è un bravissimo giornalista. La sua mail riguardava una discussione interna. Nessuno giustificava la strage di Parigi, ma c’era chi sosteneva che si dovevano condannare anche le offese di Charlie Hebdo all’Islam. A «Je suis Charlie» molti hanno preferito «Je suis Ahmed», il nome dell’agente musulmano ucciso dai terroristi a sangue freddo mentre proteggeva la sede del settimanale satirico.
Lei nell’occasione ha dichiarato: «I giornali occidentali non possono parlare di libertà per le vignette che offendono Maometto. È un’ipocrisia».
La stampa italiana ha forse pubblicato in prima pagina il disegno apparso su Charlie Hebdo, con Dio che sodomizza Cristo, il quale a sua volta sodomizza lo Spirito Santo? Per un musulmano già rappresentare il Profeta è sacrilegio. Si tratta di un sentimento che merita rispetto. Ma l’Europa è sempre più secolarizzata. La fede religiosa viene vista, da chi non ce l’ha, come una bizzarria.
Pensa che Al Jazeera figuri fra gli obiettivi dei fondamentalisti islamici?
Altroché. Se la Cnn, o la Bbc o la Rai parlano male dell’Isis, rientra nel gioco: sono le tv degli infedeli, dei crociati. Ma se a criticare l’Isis è Al Jazeera, il canale di un Paese non solo musulmano ma sunnita, è molto più difficile da digerire. Il nostro giudizio pesa.
Eppure avete spesso fatto da megafono ai tagliagole. Fu recapitata a voi la videocassetta della barbara esecuzione di Fabrizio Quattrocchi in Iraq.
Non vorrei apparire ripetitiva, però a quel tempo non lavoravo ad Al Jazeera. E, in ogni caso, lei sta parlando del canale arabo.
Sì, ma quel video fu censurato, benché in precedenza fossero passati nei vostri notiziari i filmati di altre uccisioni. Non sarà dipeso dal fatto che Quattrocchi urlava ai suoi aguzzini: «Adesso vi faccio vedere come muore un italiano»?
Insinua che il video non sia stato trasmes¬so perché Quattrocchi si comportò da eroe? È fuori strada, mi creda. Gli italiani di solito sono ben visti in quasi tutti i Paesi islamici.
Crede anche lei, come Papa Francesco, che sia in corso una terza guerra mondiale combattuta a pezzetti?
Non so se chiamarla terza guerra mondiale. So che tante ingiustizie del mondo stanno venendo a galla
tutte insieme.
Ma è uno scontro di civiltà, di religioni o di affari?
Le riferisco ciò che mi ha detto l’esponen¬te di un gruppo che in Occidente viene definito terrorista: «La maggior parte delle tensioni nel mondo arabo sono di natura politica. Ma per radicalizzarle niente è più efficace della religione».
Si può scendere a patti con l’Isis?
Non credo. Tutti gli attori in campo vogliono qualcosa e nessuno è disposto a fare concessioni.
Lei è battezzata?
Sì, ma poco praticante.
Ha mai letto il Corano?
No.
Abbraccerebbe l’Islam?
Non abbraccerei nessun’altra religione. Sono nata cattolica e morirò cattolica.
Mark Austin, suo marito, è ebreo,
se non ricordo male.
Mark è il mio ex marito, abbiamo divorziato nel 2011. Ed era protestante. Ora ho un altro Mark, Kleinman, giornali¬sta, lui sì ebreo.
Sbaglio o aveva un fidanzato ebreo anche dieci anni fa?
Coincidenze.
Quanti ne ha cambiati da allora?
You are very impertinent.
Sempre ebrei, mai musulmani?
Sono spesso uscita con uomini non cristiani. Alla fine ho scoperto d’avere più cose in comune con chi è credente, non importa di quale religione, che con chi è cristiano solo di facciata.
Si sente nel mirino il suo nuovo compagno, in quanto ebreo?
Chiediamo a lui. (Gli telefona). «Un po’ sì», dice.
Andrebbe a lavorare a Doha o in qualche altra capitale araba?
Sto nel Qatar un mese all’anno, per condurre dalla sede centrale.
Le tocca indossare il chador?
Si deve portare un crocifisso al collo per condurre il Tg1? Solo una minoranza di donne musulmane del canale arabo scelgono di coprirsi il capo. Mi viene il sospetto che lei non abbia mai visto Al Jazeera.
Fosse nata in Arabia Saudita, sarebbe una donna felice?
Forse sì, se avessi un padre liberale e un marito comprensivo.
Però non le darebbero la patente.
Ci sono tante cose che non potrei fare, come donna, in Arabia Saudita. Molte assai più importanti del guidare l’auto.
Se Michela Rocco di Torrepadula, ex miss Italia e moglie di Enrico Mentana, fosse araba, crede che avrebbe potuto scrivere su Twitter: «Wow! Dicitur, mio marito abbia avuto liaisons dangereu¬ses con una giornalista. Spero a livello di una Barbara Serra. Non una borgata¬ra sfigata»?
Non conoscevo il termine borgatara. Ogni occasione è buona per imparare.
Anche lei partecipò al concorso miss Italia. Pentita?
E perché mai? Avevo solo 21 anni. Fui iscritta da mia madre e da mia sorella Irene, che spedirono senza dirmelo un tagliando al settimanale Gioia. Allora pensai che poteva essere una scorciatoia per il successo. Invece sarebbe stata solo una grande fregatura. Per fortuna mi scartarono subito.