Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 13 Domenica calendario

Chi fa i soldi con Spotify?

Le pop star si lamentano (questione di soldi), ma se la musica non vede più buio pesto nel suo futuro, buona parte del merito è nella formula Spotify. Non compri più un disco, un artista o una singola canzone ma una libreria a rate. Un patto diabolico che, da una parte, rende ancora più frammentario e casuale l’utilizzo (raramente un album viene ascoltato nella sua interezza) ma che ha allargato la platea e ha avuto l’effetto salutare di sterilizzare la pirateria sia pure con dei contraccolpi: aumentano i fruitori, diminuisce l’illegalità, ma calano pure i guadagni.
Non è un caso che l’album che ha fatto più rumore in questo fine anno, 25 di Adele, sia uscito voltando le spalle proprio allo streaming in tutte le sue forme. Il rifiuto di andare su Spotify e sulle altre piattaforme ha alimentato le vendite del supporto fisico (3,4 milioni di copie in sette giorni difficilmente li avrebbe messi insieme col disco disponibile anche in streaming) e, comunque, ci sarà modo di cambiare idea a euforia placata. Il secondo è la risonanza: il fatto che si sia parlato della sua scelta ha contribuito a dare a 25 un’aura speciale, diversa dagli altri. Allora, il no a Spotify diventa strategia. A inaugurarla è stata Taylor Swift, a suo tempo, con 1989 (album più venduto del 2014 in America), ora c’è un’altra star vorace della musica come Rihanna che lancerà il suo disco Anti (sulla cui uscita c’è un vero e proprio gioco a nascondino) voltando le spalle alla piattaforma svedese. Anche i Coldplay sono usciti con A head full of dreams negandosi a Spotify (però sono andati su Apple music e Tidal) ma solo per pochi giorni. Insomma, non c’è nulla di ideologico in queste scelte, anche se qualcuno ci ha provato. Taylor Swift sogna che un giorno gli artisti possano decidere a quale prezzo vendere un album. Più concreta l’opposizione di Tom Yorke dei Radiohead, che se la prende coi «fornitori di servizi fanno un sacco di soldi». Ma se pure un ribelle come Prince, dopo aver aderito a Tidal, ha lanciato quest’estate il suo singolo Stare su Spotify, vuol dire che la piattaforma, visti i numeri, è un luogo da cui è difficile prescindere (da noi resta l’esclusione pervicace del catalogo di Battisti per scelta della vedova di Lucio): 75 milioni di utenti, ma la previsione è di arrivare rapidamente a 100 milioni, di cui 20 a pagamento (raddoppio in un anno). Cifre nettamente superiori a quelle della concorrenza (Apple music ha 15 milioni di utenti di cui 6,5 a pagamento). Certo, offrire le proprie canzoni quasi gratis può essere utile a chi ha bisogno di farsi conoscere, assai meno alle star. In molti, però, si sentono strozzati dalle royalties offerte: 0,007 dollari a ascolto che, per l’artista, diventa 0,001128 dollari. Spotify è remunerativo solo sui grandissimi numeri. Il più seguito degli italiani sulla piattaforma svedese durante il 2015 è Lorenzo Jovanotti, con 41 milioni di streams che alla cassa però diventano solo 46 mila dollari (e Lorenzo ha il doppio degli ascoltatori mensili di Vasco Rossi: 461 mila contro 228 mila). L’attore e rapper canadese Drake, il più seguito al mondo, addirittura ha 1,8 miliardi di ascolti: gli frutteranno 2 milioni di dollari.
Le proteste un effetto, però, lo stanno ottenendo: Spotify ha deciso di accogliere in parte le richieste e di escludere dall’offerta free (non a pagamento e con royalties assai più basse) i dischi nuovi degli artisti che lo desiderano riservandoli a chi paga l’abbonamento. Anche Apple ha ceduto alle rimostranze, recedendo dalla pretesa di non pagare diritti nei suoi tre mesi di prova gratis. Detto questo, però, a piangere miseria c’è anche Spotify che sostiene di versare il 70 per cento degli introiti in diritti alle case discografiche e di aver loro pagato 3 miliardi di dollari fino a giugno scorso. E Tidal? La piattaforma di Jay Z, Madonna, Beyoncè, Daft Punk prova il riscatto puntando sulla qualità con un servizio di altissima fedeltà a 20 dollari al mese. Tenendo conto che anche un fondatore come Chris Martin, leader dei Coldplay, s’è rivolto altrove, c’è da dubitarne.