La Stampa, 13 dicembre 2015
Tutte le differenze tra Le Pen e Salvini
La Lega di Salvini prende il Front National di Marine Le Pen a modello, e ambisce a riprodurne le parole d’ordine e i risultati elettorali.
Malgrado l’esplicito rapporto di «cuginanza», però, i due partiti rimangono assai diversi. Per tre ragioni politiche contingenti – che potremmo riassumere in altrettante parole: governo, nazione e monopolio – e una, invece, ben più profonda.
Il governo, innanzitutto. Il Front National ne è stato totalmente escluso: da sempre, tranne che in una manciata di Comuni, è una forza di opposizione. La Lega invece ha amministrato molto, a Roma, nelle città e nelle Regioni, e ancora oggi ha due suoi uomini alla guida di Veneto e Lombardia. Questa differenza va a favore del Fronte, poiché gli permette di presentarsi come un soggetto del tutto vergine, radicalmente alternativo ai partiti storici. Ma va a favore della Lega nel momento in cui la si cerca di escludere e demonizzare. L’altro ieri il primo ministro francese Manuel Valls ha detto che il Fronte porterebbe la Francia alla guerra civile. Ecco: se oggi Renzi dicesse lo stesso della Lega, la sua affermazione suonerebbe più esagerata ancora di quella del suo omologo d’oltralpe. Ma soprattutto, la diversa tradizione di governo pone in maniera diametralmente opposta nei due Paesi la questione del rapporto fra destra e centro destra: Le Pen e Sarkozy sono nemici mortali, sarebbe impensabile vederli insieme su un palco com’è accaduto qualche settimana fa a Berlusconi e Salvini.
Con la nazione e col nazionalismo il Front National ha sempre avuto un rapporto eccellente, fin dal nome. Per arrivare a essere il primo partito di Francia ha dovuto compiere un’unica svolta, negli ultimi anni: quella che si è «incarnata» nel passaggio da Le Pen padre a Le Pen figlia, e che ha mirato a rendere il partito più presentabile distaccandolo dalle retoriche nostalgiche della destra autoritaria novecentesca e riaccostandolo alla tradizione repubblicana. Con la nazione e il nazionalismo la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania ha sempre avuto un rapporto pessimo, fin dal nome. Per «lepenizzarsi» ha già dovuto mutar pelle una prima volta, passando dal localismo secessionista al sovranismo identitario. Una mutazione, per altro, che non si è ancora completata, o comunque non ha avuto pieno successo, visto che nel Mezzogiorno la Lega continua a stentare. Adesso, se vuole diventare egemone a destra, di metamorfosi dovrebbe farne un’altra, parallela a quella del Fronte, rendendosi più credibile. Com’è evidente, però, i cambi di direzione più si moltiplicano, più diventano difficili.
Il Fronte viene definito un partito di destra – e con ottime ragioni. Tuttavia non agisce soltanto sulla base della divisione verticale fra destra e sinistra, ma anche (soprattutto?) di quella orizzontale fra alto e basso: il popolo francese contro le oligarchie «indifferenti» e «arroganti» che quel popolo «disprezzano profondamente e ignorano sovranamente», rivendicandone il voto al solo scopo di conservare i propri «privilegi esorbitanti» (le citazioni sono dal discorso di Marine Le Pen di tre giorni fa). Lungo questa seconda frattura il Fronte è riuscito a monopolizzare la rappresentanza di chi si sente «in basso». In Italia, invece, in quello stesso spazio la Lega se la deve vedere col Movimento 5 stelle. Il complesso interagire delle due fratture, destra-sinistra e alto-basso, è quel che rende la scena politica francese così interessante. Come al solito, però, l’Italia è più complicata e interessante ancora.
Ma perché il vento della contestazione di chi sta «in alto» in nome di chi sta «in basso», che soffia così potente ovunque in Europa, Oltralpe gonfia le vele d’un partito solo, di destra, e da noi si esprime invece in due partiti, uno di destra e uno chissà? Veniamo così alla differenza più profonda fra i due Paesi. Per decenni lo Stato nazionale repubblicano francese ha saputo tenere ragionevolmente fede alle proprie promesse: ordine, benessere, diritti di cittadinanza, prestigio internazionale, uguaglianza, laicità, capacità di assimilazione. Ora è visibilmente in crisi. E il Fronte ha successo perché dichiara di volerne ripristinare la forza, isolandolo dalle pressioni – politiche, economiche, demografiche – che provengono dal di fuori, e rimettendolo così in condizione di proteggere i francesi.
Proprio su questo terreno, però, l’Italia ha ben poco a che spartire con la Francia. Quale Stato nazionale repubblicano forte potremmo mai riprometterci di ripristinare noi, che uno Stato nazionale repubblicano forte in realtà non lo abbiamo mai avuto? Si capisce allora per quale ragione le angosce generate dalle sfide storiche dei nostri anni, che nell’Esagono si sono incanalate nel Fronte, nella Penisola sono espresse da due forze politiche che con lo Stato e la nazione non hanno praticamente niente a che vedere. E si capisce che la Lega, se sogna di ripetere i successi elettorali del Fronte, dovrà «italianizzarne» non poco l’esempio.