La Stampa, 13 dicembre 2015
«Per me è solo un lavoro» dice Harrison Ford mentre milioni di fans aspettano il nuovo Star Wars
Mentre le code di fronte al Chinese Theater a Hollywood si replicano un po’ in ogni metropoli americana, lunedì alcuni fortunati potranno partecipare alla prima e vedere in sala e poi sullo schermo i vecchi e i nuovi eroi di Star Wars. Tra i nuovi, Adam Driver è il guerriero Kylo Ren; John Boyega è Finn, uno stormtrooper; Oscar Isaac e’ Poe Dameron, pilota; Lupita Nyong’o è Maz Kanata, pirata. E poi ci sono i vecchi, gli eroi della serie originale: Mark Hamill torna a indossare i panni di Luke Skywalker, Carrie Fischer è la principessa Leila e poi c’e lui, l’unico e incomparabile Han Solo, Harrison Ford, che a 73 anni si ritrova al centro di un’impresa multimiliardaria con il distacco, l’ironia e il sense of humour di sempre.
Harrison, questo non è solo un film molto atteso. È un fenomeno sociale attorno al quale girano miliardi di dollari. Sente la pressione?
«Pressione? Io? Senta, non voglio essere cinico e trovo eccitante che ci sia tanta attesa. È gratificante vedere così tanto entusiasmo e l’ampiezza dell’investimento della Disney. Non intendo solo in soldi, ma anche in fedeltà alla visione originale di George Lucas e all’opportunità di reinventare oggi quella visione. E certo, sono grato ai fan per l’interesse e la devozione: sono certo che riusciremo a renderli felici, grazie al lavoro del regista J.J. Abrams. Ma no, io non ho la stessa devozione dei fan. Io qui ci lavoro. Loro vedono le cose da una parte, io dall’altra. Amo quest’avventura, ma non come un fan. Per me è lavoro».
Quindi nella sua decisione di tornare non c’è un fattore sentimentale?
«Sono tornato perché c’erano un’ottima sceneggiatura e un ottimo uso del mio personaggio, oltre che un regista che ho sempre ammirato. E poi ero disoccupato! E così ho ripescato questo costume che avevo lasciato in un armadio 25 anni fa e sono tornato a indossarlo».
Si dice che, se solo lei avesse potuto decidere, Han Solo sarebbe morto da tempo.
«Venticinque anni fa ho detto che volevo che morisse, ma non perché non volevo più fare questa parte. È che allora pensavo che non ci sarebbero stati altri sequel: se Han fosse morto, il suo eroismo avrebbe avuto tutto un altro spessore. Ma George ha detto no e no è stato. Sono contento di essere tornato, è stato divertente. Per aiutarmi, nel caso me lo fossi scordato hanno pure messo il mio nome nella porta del camerino».
È tornato a volare dopo l’incidente aereo dello scorso agosto?
«Io non piloto aerei, li distruggo. Ma sì, volo ancora, anzi, sono tornato a volare appena ho potuto rimettere piede sul mio elicottero, con una gamba ancora ingessata e le dita del piede fuori. E da allora, volo appena posso. Adoro farlo e mia moglie sa quanto è importante per me e mi sostiene anche in questo».
Mentre i fan sono in attesa del ritorno di Han Solo e degli altri personaggi della galassia di «Star Wars», il mondo e’ in subbuglio e a Parigi si discute di sostenibilità della vita col clima che cambia...
«La storia del nostro pianeta è molto molto lunga, mentre le impronte umane sulla Terra sono relativamente recenti. Il Pianeta potrà andare avanti senza di noi, ma noi umani abbiamo bisogno della natura per sopravvivere, di una natura sana e vibrante che ci dia acqua e cibo, l’energia e le risorse necessarie alla vita. Quanto alla violenza recente, sono senza parole come tutti. Sono spaventato per il futuro del mondo naturale ma anche per le disparità tra quelli che hanno e quelli che non hanno e per come ci stanno facendo giocare gli uni contro gli altri grazie a artifici retorici e alla propaganda che infiamma gli animi. Non sono pessimista, sono pragmatico. E spero che la gente pratica alla fine trionfi sulle ideologie, perché gli ideologi non aggiustano le cose e dobbiamo capire ce se non aggiustiamo le cose e se non lo facciamo in fretta non ci sarà più niente per nessuno».