la Repubblica, 13 dicembre 2015
I cani, i porci e la parabola di Gesù. I cattivi pensieri di Gianni Mura
Non ufficialmente, a Roma è stata dichiarata una settimana di agricoltura e zoologia. I tifosi romanisti omaggiano di carote i loro campigli (campioni- conigli)? Well, i tifosi della Lazio fanno ai loro giocatori il regalo di Natale in anticipo: qualche sacco di letame. Umorismo all’inglese. Ma mi interessa di più il discorso sui cani e sui porci, gli esseri a quattro zampe cui sono più affezionato. Li ha tirati in ballo il prefetto Franco Gabrielli, su un incontro (previsto o meno, non s’è capito) con James Pallotta. Incontro saltato, poi rimesso pro forma in calendario ma in sostanza del tutto inutile. Prefetto: «Non mi nego a nessuno e come dico, un po’ scherzando, ricevo cani e porci». L’italo-americano Pallotta non la prende benissimo. «Chi sono tra i due? Se sono un cane abbaio, se sono un porco grugnisco». Un cane può anche uggiolare, guaire, ululare, ma il concetto pallottiano resta chiaro. Controreplica ex cathedra di Gabrielli: «Spiace constatare che il presidente Pallotta, evidentemente non conoscitore della lingua, sia stato indotto in errore dai suoi uomini, perché quel che ho detto, in italiano, si chiama iperbole».
A me spiace constatare che il prefetto Gabrielli, evidentemente non sopraffino conoscitore delle figure retoriche, oppure tratto in errore dai suoi uomini, definisca iperbole quel che iperbole non è. Iperbole è dire “è un secolo che non ti vedo”, “i prezzi sono saliti alle stelle”. E Pallotta, come del resto i cani e i porci, ha un buon fiuto. Non conoscerà le ricchezze della nostra bella lingua, come ipotizza il prefetto Gabrielli, ma, come si dice nei peggiori bar di Capri, non è fesso. Ha annusato il senso dispregiativo, che il nuovo De Mauro (dizionario) evidenzia. Non è un’iperbole, non è come dire Tizio e Caio e nemmeno, nella comune parlata, equivale a “tutti indistintamente, senza selezione”. Bisogna risalire a Matteo (7:6), la parabola in cui Gesù raccomanda di non dare cose sacre ai cani e perle ai porci. È qui che nasce il binomio: due animali impuri per gli ebrei, animali viziosi, abominevoli. Non a caso i bestemmiatori li abbinano a Dio, e gli scontenti al mondo. Cani e porci: perché non cani e lucciole, porci e colombe, porci e gazzelle, cani e usignoli? Lascio la domanda al prefetto Gabrielli, con un voto alle sue poco felici uscite: 2. Prefetto non perfetto. Nessuno è perfetto, su questa terra.
TERRA degli uomini, ecco il titolo delle giornate alla Leopolda. Se Antoine de St. Exupéry fosse vivo, avrebbe già sorvolato la Leopolda lanciando oggetti, ma è morto e i titoli sono a disposizione. Preso in esame, ma scartato, Volo di notte (sa di raid e poi siamo fuori dalla crisi, la luce è radiosa. O no?). Proposto, era ovvio, Il piccolo principe. Ma Renzi ha obiettato: perché piccolo? Così ha vinto Terra degli uomini. Nel piccolo pezzo di terra in cui viviamo, spero che l’emozione o l’indignazione per il suicidio del pensionato di Civitavecchia non durino i soliti due o tre giorni. Ci voleva un sacrificio umano perché ci si chiedesse cosa sono e come e per chi lavorano le banche? Negli spot sono allegre, salvifiche, risolvono tutti i problemi di giovani e anziani. Nella realtà si muovono, con poche eccezioni, a un pelo dall’usura, dall’associazione a delinquere. Ti spacciano per rimborsabili dei bond marci, minimizzano i rischi, enfatizzano i vantaggi, ti fanno firmare una sessantina di fogli scritti in piccolo, prima il direttore è sempre a disposizione, poi non ti riceve più, poi cambiano il personale e con chi te la prendi? Mi hanno tolto la dignità, ha lasciato scritto il pensionato Luigino. È vero, da bravo investitore che era l’hanno fatto sentire un accattone, uno che non aveva capito, un imbecille a fidarsi. Chi non è soddisfatto può sempre andare dai carabinieri, ha commentato un pezzo grosso delle banche a cui non voglio dare pubblicità. La vedova dai carabinieri c’è andata. E loro le hanno detto di stare attenta a come parla, perché in futuro la banca potrebbe rivalersi. Non bastassero 110mila euro dissolti e un marito morto per disperazione e umiliazione, resta pur sempre una vedova da spennare, in questa terra degli uomini. Certo, se sta quieta e zitta non le capiterà nulla di grave. Anche se ha voglia di urlare. E in tanti, in tantissimi dovremmo urlare con lei.
NON un urlo ma un grande applauso per l’addio al calcio di Rogerio Ceni, il portiere- goleador che ha segnato 129 reti il 1.227 partite. Classe 1973, portiere del San Paolo, 24 stagioni da professionista, ha vinto tre campionati brasiliani, due Coppe Libertadores, due intercontinentali e un mondiale per club. Forse solo in Brasile, dove hanno inventato la Giornata del Portiere per marcare la differenza tra chi sta in porta e chi no, poteva nascere e giocare un tipo così (8), abilissimo nei rigori ma anche nelle punizioni dal limite. Una rivincita sulla Storia, una storia che sarebbe piaciuta a Galeano.