la Repubblica, 13 dicembre 2015
Cose che solo la Boschi può permettersi
Tra un remix di Brunetta e un karaoke inter-generazionale, un video spezzone di Zalone e un classificone di prime pagine nemiche, invero abbastanza grottesche, il format della Leopolda viaggia comunque di gran carriera verso la sovranità assoluta.
Per cui ieri sera Maria Elena Boschi, regina del Pd, ha esercitato le sue prerogative regali, appunto, e perciò nulla ha detto in pubblico di Banca Etruria, né della sua famiglia, né del decreto, passato e futuro, né del conflitto d’interessi, né dell’atteggiamento del governo, né della faccenda che preoccupa diverse migliaia di italiani.
Se ha potuto farlo, con ovazioni e spigliatezza sotto le buie volte della Leopolda, è anche perché la più evoluta comunicazione coincide o meglio finisce per incrociarsi con moduli di un comando ben più antico di quello che lei ha riportato in qualche modo in vigore.
I sovrani infatti sono al di sopra non si dirà qui della legge, ma certo delle opinioni e ancor più della curiosità. Hanno dunque diritto al silenzio. Come Dio e come le bestie, scrive Derrida in un complicatissimo saggio che per re e regine contempla addirittura – non se ne adontino giovani leopoldini che ieri hanno docilmente interrogato un certo numero di ministri – “l’estasi espropriante dell’irresponsabilità”.
Per scendere dall’iperuranio delle formule, lei ieri è arrivata sul retro della Leopolda, area riservata al potere, e una volta sul proscenio ha fatto maestosamente marameo. Così come, per approdare alla cronacaccia che pure riempie la vita di tanti cortigiani presenti, si bisbigliava ieri un nomignolo che in qualche misura ricompensava quel silenzio d’imperio: Maria Etruria Boschi.
In realtà il potere si conferma un gioco rischioso e crudele, oltre che un tantinello cannibalico. L’attesa di Boschi si era fatta spasmodica: viene, non viene, è già qui da ieri o non verrà mai. Verso l’ora di pranzo, in sala stampa, qualcuno ha creduto di avvistarla da lontano con il povero Gentiloni, ma era un’altra bionda con i boccoli, una sosia, un fantasma, una pseudo Boschi, e i giornalisti si sarebbero pure accontentati.
Nel circo o nel circolo mediatico, che ha le sue regole, tale vuoto o indeterminatezza rischiava, se non di guastare la festa, almeno di sgualcire la Leopolda. Che nel frattempo, e tanto più in calamitosa concomitanza con l’impiccio bancario e i suoi incerti sviluppi, fra la notte e la mattina aveva preso un passo decisamente trionfale, una sorta di compiaciuta, a tratti esagerata au- to-glorificazione con Renzi che per interminabili minuti leggeva brani come fosse Gassman; e la coppia Picierno-Nicodemo, che da poco ha avuto un bambino, assegnava al meeting un tributo di fertilità (“La Leopolda fa i figli belli”); e via andare, dopo inesorabili stacchetti, con la proiezione di clip di vario genere, ma tutte coerenti e rimbombanti con il messaggio unico, alcune anche molto ben realizzate, frammenti di Simpson e vedute dall’alto di Expo, gli immigrati che scherzano sugli italiani e i sindacalisti vecchi e fuori luogo.
Ma la Boschi? Niente. Fra gli intervenuti proliferavano le mascotte, i casi emblematici, i testimonial, però tutti un po’ uguali, stesse forme di saluto, stesso abbigliamento, stesso linguaggio. Non un’opinione diversa, peccato. I presentatori, fra cui l’apprezzatissimo Vignolini, autore di una rassegna stampa creativa su LadyRadio, nel presentarli cercavano di umanizzare i ministri: passi per Delrio che da giovane ha fatto il provino per il Milan, ma quando si è venuto a sapere che Poletti è un appassionato di pallamano, la degenerazione dello storytelling era ormai lì, imprevisto fenomeno di auto-consumo.
In tale contesto, qualche ora dopo, è finalmente apparsa Boschi. Regina inutilmente sotto scacco, ma nell’immaginario vissuta anche come Madonnina (nel presepio vivente del suo paese) e Fata dai capelli turchini (in un recente musical di Edoardo Bennato). Le vie del sessismo sono quasi infinite, ma si spera di non percorrerle ricordando che si tratta di un personaggio centrale del renzismo, e forse non solo. La giovane che ha prestato il suo nome al cambio della forma di governo in Italia. Secondo Bruno Vespa, nessuna è mai stata così potente nella storia repubblicana.
Come nessun’altra adatta ai fasti di questo tempo di visioni stranite e singolare intrattenimento; e infatti canta “Bella ciao” ai funerali, premia agli Internazionali di tennis, si presenta con giubbino nero e t-shirt con Alda Merini al Gay pride, accompagna in Italia i piccoli africani adottati, riceve baci in aula dopo le più difficili votazioni, ha l’imitatrice Shabadabadà e la canzonetta che le ha dedicato il paroliere di Iulio Iglesias. Quanto tutto questo poteva convincerla a dire due parole su Banca Etruria è un mistero che la post-democrazia non riesce a sciogliere. Ma la monarchia un po’ sì.