la Repubblica, 13 dicembre 2015
Le colpe della Consob
Perché il governo ha ritenuto che l’arbitro per definire chi tra gli obbligazionisti turlupinati abbia diritto a forme di rimborso non sarà Consob – a ciò preposta – ma “persone di comprovata imparzialità, indipendenza, professionalità e onorabilità”? Il sospetto è che Matteo Renzi con le ore si sia convinto che non può arbitrare una partita tanto delicata chi finora è stato non giocatore, ma attore rilevante nel consentire che l’Italia diventasse il paradiso dei prestiti subordinati. Circa 70 miliardi di carta per definizione più rischiosa dei bond ordinari (è penalizzata nel riparto del passivo in caso di fallimento). E che dal 1° gennaio – ma lo si sa da due anni e mezzo – diventeranno ancor più rischiose, perché la direttiva sul bail in li chiama a coprire la prima fetta del rosso bancario, insieme alle azioni.
“Le banche italiane hanno venduto prodotti non idonei”, ha detto il commissario Ue al mercato, Jonathan Hill. E il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan “non ha escluso” l’ipotesi. Il britannico la sa lunga: è tra gli artefici della gloria della City. Eppure, se nella capitale della finanza un privato vuol comprare un subordinato deve firmare lo scarico di responsabilità alla banca.
In Italia invece, dal 2005 i subordinati sono diventati uno dei modi preferiti dalle banche per finanziarsi e patrimonializzarsi. È bastato passare per la cruna del questionario Mifid, altra direttiva Ue che impone di profilare i rischi del portafoglio di ogni cliente e adeguarli a cultura finanziaria e tasche. Tuttavia, con i giusti pareri al governo e alle authority – la Consob che controlla trasparenza e correttezza delle comunicazioni al mercato, la Banca d’Italia che vigila sugli istituti – i banchieri italiani sono riusciti, talora, a rispettare la forma facendo torto alla sostanza. Non va fatta di tutta l’erba un fascio, chiaro. Ma è chiaro che amministratori e dipendenti delle quattro banche salvate a novembre (sacrificando azionisti e subordinati però) agivano in conflitto di interesse, perché vendendo le loro emissioni tenevano a galla gli istituti.
Cosa ha fatto la Consob per evitare abusi? Dal 2012 ha fatto inserire nei prospetti informativi di quei bond i loro rischi, anche di “perdita totale dell’investimento” (purtroppo, pochi li leggono). Dal luglio 2015 ha stilato la disciplina su un elenco di strumenti finanziari complessi (che tuttavia non annovera i subordinati, malgrado la raccomandazione dell’Esma europea). Tale vigilanza forse ha salvato la forma, ma s’è rivelata inefficace nella sostanza; e Renzi lo sta capendo nel momento più sbagliato, sul palco della Leopolda.
Anche i nuovi manager delle risanate banche Marche, Etruria, Ferrara, Chieti, guidati dal presidente Roberto Nicastro, lo stanno riscontrando nei primi sopralluoghi su quei 788 milioni di bond inceneriti. Hanno trovato nelle quattro banche parecchie emissioni “sub”: circa metà emesse dopo il 2008, quando il fallimento di Lehman rese più rischioso il settore, e la direttiva Mifid entrò in vigore. Su questa metà, appunto, emergono prime evidenze di cattiva profilatura dei clienti o eccessiva concentrazione dei rischi. Tra questi, il caso del pensionato suicida Luigi Bianchi, che nel 2013 investì tutti i 100mila euro della liquidazione in un subordinato Banca Etruria che rendeva il 3,5%. Un tasso poco intonato, dato che la banca stava affogando. Identico al Btp dell’epoca, addirittura inferiore ai subordinati che emettevano le banche svizzere. Proprio i tassi “scontati” sono un altro fattore critico di quei bond, e di possibili risvolti legali. Se un bond ad alto rischio è venduto a un risparmiatore incolto, non si accorgerà se gli si paga una cedola inadeguata. Eppure, proprio la Consob sotto Lamberto Cardia aveva nel 2009 introdotto un metodo matematico per tarare i rendimenti attesi sui rischi delle emissioni: gli “scenari probabilistici”. Durò pochi mesi, anche per le pressioni della lobby bancaria: anche perché nel frattempo quei titoli e quegli scenari facevano troppo rumore. Dal 2011, con l’arrivo del presidente Giuseppe Vegas, gli scenari andarono in soffitta, dopo che sia il presidente attuale sia il suo mentore Giulio Tremonti li avevano criticati. Eppure, se il bond Carichieti 2013-2018 avesse recato la dicitura “probabilità del 37% di perdere metà del capitale”, o il bond Etruria 2013-2023 “rischio del 62% di perdere il 46% del capitale” (si tratta di simulazioni), avrebbe tenuto lontani i piccoli risparmiatori; e scoraggiato i grandi.