Corriere della Sera, 13 dicembre 2015
Il pessimismo di Joaquin Phoenix
Los Angeles Attore appassionato e uomo difficile, Joaquin Phoenix, 41 anni, tre nomination agli Oscar, la prima sin dai tempi (2000) del suo malvagio imperatore Commodo nel Gladiatore, deve essere subito parso a Woody Allen l’interprete più giusto per il complesso e pessimista, in realtà affamato di vita, professore di filosofia in Irrational Man.
Il film, sostiene Woody, «è basato su un mio copione a cui sono particolarmente legato perché rappresenta il rapporto di un essere umano con la propria esistenza, e il professor Abe Lucas ha studiato e cita scrittori e filosofi da me prediletti: Dostoevskij, Kant, Heidegger». Per la presentazione del film, il sempre ombroso Joaquin è uscito dal suo eremo di Coldwater Canyon, sulla Mulholland Drive, «lo stesso dove ha sempre abitato Marlon Brando – spiega—, l’attore che prediligo. Ero ragazzo, andavo a vedere i suoi film, senza pensare di voler diventare un attore».
Si aspettava di essere chiamato da Woody?
«No, ma in qualche modo, interiorizzandolo, ho fatto mio il tormentato Abe. In lui ho ritrovato un certo distacco e pessimismo che mi appartengono».
Lo sa che, contro ogni aspettativa, il newyorchese Allen ha ambientato parte del suo nuovo film proprio a Los Angeles?
«Noi abbiamo girato a Rhode Island e Woody dice sempre che gli piacciono i luoghi dove si vivono le quattro stagioni. Los Angeles ne ha una, con il sole perenne».
Come sceglie i suoi film?
«Devo “sentirli”, come Her e The Master. Stimo i due registi, Spike Jonze e P.T. Anderson: hanno una forma di coerenza nella vita che si riflette nel loro cinema, qualità fondamentale per me. Non sono in sintonia con tanti attori di Hollywood che accettano qualsiasi ruolo. Fa male a loro, fa male al cinema».
Oltre a Brando, quale altro attore ammira?
«Leonardo DiCaprio. Quando ero giovane tutti noi attori lo invidiavamo, gli proponevano i ruoli più belli».
Sono più i copioni che rifiuta di quelli che accetta, cosa fa nel tempo libero?
«Ascolto musica, vedo gli amici, come Casey Affleck con il quale spero di girare presto il suo prossimo lavoro. Continuo ad ammirare Gus Van Sant con il quale ho girato uno dei miei primi film (Da morire, 1995, ndr). Gus riesce a mettere toni leggeri anche nelle storie più dark, e io da spettatore amo le commedie e i film d’azione. Arrivavo da anni vissuti in Sud America e fu solo con il film di Gus che presi consapevolezza del fatto che recitare mi permetteva di uscire da me stesso».
Lei è impegnato in associazioni umanitarie, è vegetariano e in prima fila per i diritti degli animali.
«Mi interessa conoscere e aiutare chi cerca di sopravvivere in un mondo che lo ignora e dimentica quanti bambini possano ancora morire di fame, anche in una California dove c’è troppo, per pochi, e la gente, andando in vacanza, lascia cani e gatti per strada. I miei animali sono tutti trovatelli, ora hanno un amico, non un padrone».
Per il suo Johnny Cash in «Quando l’amore brucia l’anima – Walk the line» cambiò timbro di voce, pettinatura, fisicità…
«Per Johnny Cash abbassai la voce di due ottave e studiai il ruolo in ogni dettaglio. Eppure ricordo che ancora e sempre agli incontri d’obbligo non mi chiesero del mio impegno nel ruolo, ma della morte di mio fratello River per overdose (nel 1993, ndr )... La curiosità della gente è sempre più malata. Io non bazzico Internet dove è facile imbattersi in rapporti superficiali e masse di informazioni spesso non verificate. Mi sono interessato ai social media solo sul set di Lei dove mi innamoravo della voce di un software femminile».
Spesso lavora con gli stessi registi. Le dà sicurezza essere diretto da chi la conosce?
«Senza dubbio. Con James Gray ho interpretato quattro film e vorrei che Woody mi richiamasse perché, come me, parla poco e non gli interessa quello che gli altri dicono di lui, ma sa guardare dentro le persone e, senza fare richieste, prendere da loro tutto ciò che possono dare».