il Giornale, 13 dicembre 2015
A Palermo viene esposta una riproduzione della Natività di Caravaggio, trafugata nel 1969. La copia reinventa l’originale
La rinascita di Caravaggio non è soltanto uno straordinario processo critico che lo ha restituito a una piena comprensione solo nel secolo scorso, culminando con la grande mostra di Palazzo Reale a Milano nel 1951. Dopo quella data la nostra piena consapevolezza del pittore può dirsi compiuta, anche con gli studi sul movimento internazionale caravaggesco che hanno visto riemergere pittori straordinari, da Orazio Gentileschi a Matteo Stomer, da Ribera a Simon Vouet, da Pietro Paolini agli innumerevoli e talvolta pregevoli anonimi. Con Caravaggio è uscita dall’ombra un’intera civiltà figurativa. Ombra e luce sono i due poli entro cui Caravaggio si muove, anche metaforicamente.Dagli anni Cinquanta, quando l’accostamento era impossibile, l’approfondimento della personalità del Caravaggio è arrivato, nella mia interpretazione, a coinvolgere, come per un transfert o una vita parallela, Pier Paolo Pasolini. Ne ho indicato le affinità di visione, anche nel rischio, nell’abisso, nella doppia vita. Per entrambi c’è un inferno, da cui soltanto l’intelletto può elevarsi. I ragazzi di vita, i musici, il fanciullo morso dal ramarro, Cristo fra gli ultimi, molte cose e molti temi li accomunano: l’urgenza della vita, la forza del male, l’assassinio. Ma a Caravaggio è toccato di morire e rinascere due volte. In una notte di pioggia tra il 17 e 18 ottobre del 1969 due ragazzi entrarono nell’Oratorio di San Lorenzo in via dell’Immacolatella 3, a Palermo, e tagliarono con una lametta, dal telaio, il dipinto che stava sull’altare, festeggiato dalle virtù e dai bambini di Giacomo Serpotta, appesi alle pareti dell’Oratorio, e da quella notte oscura inconsolabili.Ora, dopo vane indagini e vane segnalazioni, la Natività ritorna a casa. Sarà una felice illusione, mentre il corpo dell’opera giace chissà dove, come molti morti di mafia, cui quest’opera può essere assimilata. Chi l’ha data per distrutta non poteva immaginare che la tecnologia e l’intelligenza insieme avrebbero potuto fare il miracolo di mostrarci, come una visione, l’opera scomparsa.Un tecnico di grande talento, Adam Lowe, su stimolo di Sky Arte, ha fatto una seduta spiritica, ripetendo l’esperienza fatta con l’Ultima cena di Leonardo e le Nozze di Cana di Veronese ricollocate nella sede orba del refettorio di San Giorgio a Venezia, dopo il furto legalizzato di Napoleone, che le trasferì al Louvre. Lowe ha dovuto lavorare su ciò che aveva da quei remoti anni, non partendo dal reale ma dalla memoria del reale, per creare il suo facsimile.Egli è partito da un fotocolor, ripreso nel 1968 da Enzo Brai nell’Oratorio di San Lorenzo, in una dimensione che non prevedeva l’ingrandimento in formato reale del dipinto. A questa immagine originaria ha accostato una serie di dati cromatici ripresi dalla Vocazione di San Matteo e dal Martirio di San Matteo in San Luigi dei Francesi. Rielaborando queste immagini, con molti ritocchi digitali, ha definito la natura e la pelle del colore. Questo parametro cromatico è stato poi applicato a documentati dettagli ritrovati all’Istituto del restauro di Roma, per una campagna fotografica in bianco e nero, ma particolarmente nitida, realizzata nel 1950. Con la superficie deteriorata della tela, apparivano anche i segni del pennello e ogni altro dettaglio della superficie pittorica. Lowe spiega il suo procedimento che conduce a un’illusione perfetta della realtà.Quella che vediamo non è una semplice copia, perché non riproduce l’originale, ma lo reinventa, e assolve al compito di vincere la nostalgia e la violenza del rapimento. Nulla è più simile di una persona a un’opera d’arte, ma quest’ultima resta pur sempre una cosa: la tecnologia può compiere il miracolo, come accade nella riproduzione musicale ad alta fedeltà, con la pittura, così come con la scultura (e ne abbiamo molti esempi nelle riproduzioni di sculture e monumenti all’aria aperta in numerose città), ci si è sempre più avvicinati alla perfetta illusione. Che, con Lowe, oggi ci impedisce di distinguere la riproduzione dall’originale.Vale anche per la musica, soprattutto per quella artificialmente amplificata. Ecco: Lowe usa l’amplificatore. Perfeziona il reale da cui è partito, colmando un difetto di esistenza. Il clone, immobile, parla per l’originale. Moralmente e intimamente non possiamo essere soddisfatti ma visivamente siamo ingannati, come, chiudendo gli occhi e ascoltando una sinfonia, possiamo credere di essere alla Scala, e provare le stesse emozioni musicali.Oggi solo la mente ci può ricondurre a una riflessione sullo stato delle cose, sulla lacuna. I sensi sono ingannati. Noi dobbiamo sapere prima che un’opera non c’è più, che la Natività è stata rapita, ma ciò che i nostri occhi vedono ci inganna.È Glenn Gould quello che sto sentendo suonare Bach attraverso un disco? È lui, la sua anima? Soltanto sapendolo posso dubitare delle condizioni imperfette della realtà virtuale. Così vedrò finalmente quello che non ho mai visto. E il malinconico San Lorenzo con la dalmatica giallo ocra, e la Madonna povera con il bambino abbandonato sulla terra sopra un po’ di paglia. Non c’è euforia, non c’è il consueto presepe. I presenti pregano, animati più da compassione che da felicità.E la figura che mi ha sempre più colpito, il padre negato, il padre non padre, ci volta le spalle, ha un corpo giovane. Ne vediamo i capelli biondo-chiari. È un San Giuseppe che preferisce non farsi vedere. Dovrà garantire, al figlio di Maria e di Dio, la sicurezza. Ma Gesù ha bisogno di affetto, o può soltanto dare amore? Nell’invenzione di Caravaggio è un povero bambino indifeso. Trasmette misericordia o la chiede? Necessario l’intervento didascalico di un angelo, per dirci che chi è povero su questa terra, sarà primo in cielo: «Gloria in excelsis Deo» annuncia. E intanto, con un dito rivelatore, indica chi non c’è in un cielo nero. Perché Dio, se c’è, è dentro di noi