il Giornale, 13 dicembre 2015
Il commento di Vittorio Feltri: sulla condanna di Stasi ha vinto la tv giustizialista
L’unica via praticabile per la giustizia è quella dell’assurdo. La sentenza di condanna definitiva che infligge 16 anni di carcere ad Alberto Stasi ne è la dimostrazione. È arrivata a otto anni dall’omicidio che gli è stato attribuito, quello di Chiara Poggi, la sua fidanzata, uccisa nella propria villetta di Garlasco con un oggetto (quale?) mai trovato, pertanto ben nascosto dall’assassino. La ragazza morì una mattina di agosto 2007. Fu lei ad aprire la porta di casa al carnefice che, evidentemente, conosceva. I sospetti caddero subito sul moroso. Altre piste furono trascurate. Gli investigatori si impegnarono soltanto su di lui. E lo arrestarono sperando, invano, che confessasse. Il Gip poi esaminò la pratica e lo scarcerò: zero prove e zero indizi. Fu accertato che all’ora in cui la vittima morì, egli era in casa come risultava e risulta dal suo computer usato per la compilazione della tesi di laurea. Non si può contemporaneamente battere sulla tastiera e trucidare una fanciulla. Due attività inconciliabili. Gli inquirenti pensarono lo stesso che il boia fosse Stasi. Indagarono solo su di lui, sorvolando sulle persone che lavoravano con lei in un ufficio di Milano. In questi casi, stando alle statistiche, il maledetto è di norma uno di famiglia o dintorni, per cui non furono valutate altre ipotesi.Si va a processo con Alberto a piede libero. Che viene assolto. Appello: seconda assoluzione. La Cassazione però ordina il rifacimento dell’appello. E qui arriva la prima condanna a sedici anni. Si torna in Cassazione. Il procuratore generale, cioè l’accusa, chiede un nuovo processo in quanto il verdetto non sta in piedi: mancano prove e perfino indizi, che devono basarsi su elementi di fatto e non su congetture, per quanto logiche. Tutti si aspettano che Stasi debba subire un nuovo giudizio. Invece – sorpresa – viene confermata la sentenza (passata in giudicato) che gli affibbia sedici anni di galera. Cosa è accaduto?Hanno vinto le televisioni che al delitto hanno dedicato decine e decine di trasmissioni durante le quali fior di colpevolisti accaniti si sono esercitati nell’arte sadica di trafiggere l’imputato, spacciando per verità acclarate un sacco di balle, invenzioni, supposizioni prive di fondamento. I media sfruttano con sapienza gli ammazzamenti per fare ascolti. La gente si appassiona ai gialli e li segue sul video con morbosa attenzione. I colpevolisti prevalgono sugli innocentisti: è una regola fissa. Il desiderio di vendetta sociale è forte. La frase più ricorrente è questa: sbattete in galera l’assassino e buttate via la chiave.Stasi è un tipo in apparenza freddo. Dicono che abbia gli occhi di ghiaccio anche se, in realtà, è solo miope. Quindi è lui ad aver accoppato la povera fanciulla. Le sue assoluzioni (due di fila) erano state accolte con delusione. Il popolo pretende una condanna esemplare. Alberto sta sulle scatole a tutti, è molto antipatico: sia rinchiuso in galera e paghi. Le trasmissioni riservate al giallo continuano a essere numerose e stritolano il giovanotto con argomenti falsi. Questi. Egli non si è sporcato le scarpe di sangue pur avendo camminato sul luogo del delitto. Non importa che non se le siano sporcate neppure il medico e i carabinieri. Ha cambiato i pedali della bicicletta che forse si erano macchiati di plasma. Circostanza irreale. Ha lasciato tracce sue sul sapone posto sul lavabo del bagno di Chiara. Non si dice che frequentando da anni la dimora della fidanzata quel sapone lo avrà utilizzato cento volte.Insomma, si dà peso a piccoli particolari insignificanti e nessun peso all’assenza di movente, dato che non vi è traccia di litigi tra i morosi né sul computer né sui cellulari della coppia. Nel tentativo patetico di verificare un eventuale screzio fra Alberto e Chiara, si tira fuori che lui amasse i siti porno. Ciò che gli costa un processo collaterale: assoluzione. Cose da pazzi. Ma la cosiddetta giustizia non si arrende. Procede senza sosta influenzata dal teatrino tragico inscenato dalla tv che, quando è a secco di temi eccitanti, recupera il giallo di Garlasco e dà voce anche a chi farebbe bene a tacere. Gli avvocati di parte civile sono scatenati. Svolgono il loro mestiere. Quelli di Stasi, convinti di essere in una botte di ferro, snobbano i media, persuasi che sia controproducente difendersi davanti alle telecamere anziché in aula. Illusione. Le telecamere, nella civiltà delle immagini, contano di più delle dotte arringhe dei principi del foro.Cosicché per Alberto è finita in tragedia come in tragedia è finita per la sua Chiara. Lascia o raddoppia? Qui si è raddoppiato con grande soddisfazione dei familiari della povera Poggi. Davanti a un omicidio si reclama un colpevole da trasformare in detenuto. Uno qualsiasi. Non ci sono prove né indizi contro di lui? Pazienza. La folla applaude felice ogni volta che il cancello della galera si chiude alle spalle di un uomo o di una donna sputtanati dalla tv e castigati dal tribunale. Nessuno che dica quanto sia crudele un sistema che si basa sull’appello dei giudici anziché esclusivamente su quello dell’imputato. Nessuno che si indigni se un individuo viene privato della libertà anche se su di esso non gravano prove né indizi. Siamo nauseati. Non ce la prendiamo con i giudici, ma con chi li mette in condizione di rendersi strumenti di una giustizia acefala.