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 2015  dicembre 14 Lunedì calendario

Ma chi è il vero papà del Bitcoin?

Craig Steven Wright, australiano di 44 anni, ha due destini mediatici di fronte: o passerà alla storia come «Mr Bitcoin numero 3», l’ennesimo millantatore o bluff come quello “scoperto” da Newsweek nel 2014, oppure sarà l’unico e solo padre della cripto-moneta, sempre che esista un individuo che può fregiarsi di questo nome e che il bitcoin non sia il risultato di un ingegno collettivo, un po’ come l’Odissea di Omero. 
I fatti sono pochi ma rilevanti: due inchieste giornalistiche parallele, una di Wired Usa, l’altra di Gizmodo, hanno individuato in Wright Satoshi Nakamoto, il nickname con cui è conosciuto, fin dalle origini nel 2009, il padre del bitcoin. Tra le prove messe in rete ci sono diverse email e trascrizioni di incontri, alcuni con gli uffici fiscali australiani, che sarebbero state fornite da un hacker. In diverse di queste trascrizioni Wright fa riferimento a se stesso come al padre del bitcoin («avevo fatto il possibile per nascondere il fatto che dal 2009 sono alla guida di bitcoin. Dopo questa storia mezzo mondo lo avrà scoperto»). Un fatto, ma non una prova visto che potrebbe trattarsi di un mitomane. 
La storia ricorda peraltro un altro probabile mitomane, un hacker di nome «Savaged», alias Jeffrey, che qualche mese fa aveva chiesto 25 bitcoin (al tempo pari a 9.000 dollari) per dare informazioni su Satoshi Nakamoto. Come prova Savaged aveva postato il nome del presunto account di posta usato fino al 2010 dal ricercato: satoshin@gmx.com che, peraltro, non dà più segni di vita (se tentate di inviare una email il sistema vi risponderà che non viene trovato anche se il provider Gmx esiste, sebbene nessuno o quasi lo conosca in Italia). In effetti Gizmodo e Wired segnalano tra gli indizi le email trafugate di cui sono entrati in possesso e da cui si evince che in passato Wright aveva usato un account simile (satoshi@vistomail.com, un account che risulta invece esistere anche se nessuno risponde, per ora). Tra gli altri fatti che hanno contribuito a fare esplodere il caso c’è la retata della polizia australiana sia nella casa che negli uffici della società DeMorgan Limited, di cui lo stesso Wright risulta amministratore delegato. La stessa polizia ha negato che l’operazione fosse collegata agli articoli sui bitcoin. Ma pensare che sia un caso è difficile: d’altra parte il bitcoin non è una moneta illegale e, dunque, se ci sono delle contestazioni fiscali devono essere collegate all’operato della società per la quale Wright era finito sotto osservazione. 
Per il resto, in attesa di capire che fine abbia fatto Wright, le contraddizioni non mancano: nel suo lungo curriculum su LinkedIn – talmente corposo da far pensare che sia falso – si legge che in questi anni ha lavorato per organizzare i master della Charles Sturt University. E, in effetti, in Rete è spesso citato come accademico. In realtà cercando all’interno del sito della Csu, Wright viene nominato l’ultima volta nel 2012 come un esperto di information technology. Fa acqua anche la descrizione della società DeMorgan (che, en passant, ricorda il pirata Morgan, un altro indizio?) dove si legge che hanno lavorato sei anni per sviluppare dei prodotti sui bitcoin. Un arco di tempo di cui il vero padre dei bitcoin non avrebbe avuto verosimilmente bisogno. Ma, magari, anche questa informazione è falsa.