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 2015  dicembre 14 Lunedì calendario

Ritratto di Stanley Fischer, il banchiere più influente di Wall Street

La scorsa settimana lo ha ripetuto ancora una volta, in teleconferenza: «Personalmente ritengo che sia corretto alzare i tassi ora, a dicembre». Stanley Fischer, vice presidente della Federal Reserve, la banca centrale americana, non ha usato troppi giri di parole. E, come spiegano fonti interne, non sono poche le divergenze con il suo diretto superiore, Janet Yellen. «Meglio non tentennare se ci sono margini operativi per farlo», ha detto Fischer. 
La storia
La sua fama lo ha sempre preceduto, dal 2006 a oggi. Fischer non è un banchiere centrale qualunque. E lo sa. Nato il 15 ottobre del 1943 nella Rhodesia Settentrionale, l’attuale Zambia, ha studiato prima alla London School of Economics, dove si è laureato, e poi al Massachusetts Institute of Technology (Mit), dove si è specializzato e ha ottenuto il dottorato in economia nel 1969. Dopo aver insegnato all’Università di Chicago, è stato professore affiliato al Dipartimento di economia del Mit dal 1977 al 1988. Di lui, oltre alla pubblicazione di tre libri cruciali per la formazione accademica nel campo della macroeconomia, bisogna ricordare che fu l’advisor per la tesi di dottorato di due altri banchieri centrali: Ben Bernanke, predecessore della Yellen, e Mario Draghi, ora a capo della Banca centrale europea (Bce). Sa di essere il mentore delle due figure più significative, nell’ambito della politica monetaria globale, degli ultimi dieci anni. 
Dopo un periodo alla World Bank, in cui fu anche capo economista, e uno a Citigroup, nel gennaio 2005 il primo ministro israeliano Ariel Sharon spinge per la sua nomina alla guida della Bank of Israel. Fischer si insedierà nel maggio 2005, circa due anni prima dello scoppio della bolla immobiliare statunitense legata ai mutui subprime, per poi essere rinnovato nel 2010, quando l’economia mondiale stava per affrontare la crisi dell’eurozona. 
L’incarico
Alla Fed la nomina di Fischer fu fortemente voluta dal presidente degli Usa, Barack Obama. Il motivo è semplice. La sua esperienza nel leggere i mercati finanziari e prevedere dove andranno. Una capacità che gli è valsa, per quattro anni di fila dal 2009 al 2012, il massimo dei voti nella pagella annuale dei banchieri centrali della rivista specializzata Global finance magazine. 
In pratica, l’Oscar della politica monetaria. E tutto deriva da una mossa che fu considerata da molti analisti, come quelli di J.P. Morgan, «scellerata». Nel settembre 2009, un anno dopo il crac di Lehman Brothers, decise di innalzare i tassi d’interesse della Bank of Israel. Mentre tutte le altre banche centrali delle economie sviluppate allargavano la base monetaria, nel tentativo di stimolare l’economia interna, Fischer decise di restringerla. «Ci sono troppe vulnerabilità nel sistema finanziario globale, e il nostro compito è quello di tenere sotto controllo l’inflazione», disse di fronte a una folla attonita di giornalisti e analisti. Aveva ragione, dato che gli effetti della recessione globale post Lehman furono praticamente inesistenti in Israele. 
Il compito di Fischer nell’istituzione di Constitution Avenue a Washington DC è duplice. Da un lato c’è l’analisi dell’evoluzione dei mercati finanziari. Dall’altra, la previsione dell’impatto della politica monetaria della Fed su di essi. Ed è per questo che nelle ultime due settimane ha continuato a ricordare alla Yellen che se c’è spazio per un rialzo dei tassi in dicembre, questo deve essere sfruttato. Le sue opinioni hanno convinto perfino Dennis Lockhart, presidente della Fed di Atlanta. E dire che Lockhart, fino alla precedente riunione del Federal open market committee (Fomc), l’organo operativo della Fed, era neutrale. Poi Fischer è riuscito a farselo alleato. «Le condizioni economiche sono soddisfacenti e i mercati sono ben preparati a un rialzo dei tassi già a dicembre», ha infatti dichiarato Lockhart la scorsa settimana. Discorso analogo per Jeffrey Lacker, numero uno della Fed di Richmond e noto falco all’interno del Fomc, con cui ha preso tempo nella riunione di settembre, proprio in vista di un rialzo a dicembre. 
Dall’altro lato, però, Fischer ha un’altra incombenza. Come sottolineato da Wells Fargo, «Fischer è l’equivalente di Draghi per la Fed, ovvero la persona che sa cosa vogliono gli investitori finanziari, e sa come parlarci». Non che la Yellen non sappia farlo, ma nell’ambiente delle banche centrali è risaputo che l’ex Bank of Israel è dotato di un’altra sensibilità. Complice il suo passato in Citigroup e l’amicizia con Lloyd Blankfein, amministratore delegato di Goldman Sachs, Fischer gode di notevole stima a Wall Street. E come spiegano fonti della Fed, «si sente giorno per giorno con i più rilevanti banchieri mondiali». Una questione di coordinamento e sinergie, in altre parole. Perché come comunicare ai mercati la decisione è più importante della decisione stessa.