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 2015  dicembre 14 Lunedì calendario

Beppino Englaro è rimasto solo

Beppino, e ora?
«Non lo so. Per venticinque anni, come un automa, mi sono occupato di altri. Ora la devastazione esploderà in tutta la sua forza. Mi hanno detto che devo prendermi cura di me stesso. Devo capire se sarò in grado di farlo».
Beppino Englaro è rimasto solo. Dopo la figlia Eluana, protagonista del caso di cronaca che ha diviso l’Italia nel 2009, lo ha lasciato anche la moglie Saturna, morta lo scorso 2 dicembre.
Durante gli anni della battaglia per Eluana tua moglie è sempre rimasta in disparte. Perché?
«Era malata. “Sati”, come la chiamavo io, viveva in simbiosi con la figlia, non potevo non proteggerla».
Qualcuno arrivò a insinuare che Saturna non fosse d’accordo con te.
«Falsità. Chi sa tutto è il primario della rianimazione di Lecco, Riccardo Massei. Al primo colloquio, dopo l’incidente di nostra figlia nel 1992, ero con mia moglie, lui sa come la pensava Saturna. Un mese prima Eluana, in una lettera, scriveva della sua famiglia: “Noi tre formiamo un nucleo molto forte fondato su rispetto e aiuto reciproco”. Capito? “Noi tre”. Mia moglie, un anno dopo l’incidente, si è ammalata di cancro. Al professore che l’ha operata, Virginio Sacchini, disse: “Scelga la via che mi consenta di essere al più presto accanto a mia figlia”. Saturna era fortissima, come Eluana, e probabilmente anche nel proprio caso avrebbe detto “lascia che la morte accada”».
È una vicenda finita, quella che riguarda tua figlia?
«Non quella giudiziaria. Per esempio Formigoni dovrà risponderne». Roberto Formigoni? «Nel 2009, quando era presidente della Lombardia, negò l’accesso alle strutture della Regione in cui poter eseguire la sentenza che permetteva di staccare l’alimentazione artificiale a Eluana».
Quindi?
«Prima il Tar nel 2009 poi il Consiglio di Stato il 2 settembre 2014 gli hanno dato torto. Formigoni si è comportato in maniera illegale, ostacolando libertà e diritti fondamentali».
Chiederete i danni?
«Altroché, li abbiamo chiesti alla regione Lombardia, che poi si rivarrà su di lui».
Eluana è morta il 9 febbraio 2009?
«No, per noi è morta il giorno dell’incidente, il 18 gennaio 1992. La percezione di nostra figlia, da quel giorno, è stata lo zero assoluto. Eluana ha ricevuto le cure migliori possibili, con il risultato peggiore possibile. Noi imputiamo tutto a chi ha non ha dato peso a quel famoso “no, grazie”, al rifiuto dell’offerta terapeutica».
Sono passati sei anni dalla fine del caso e non c’è ancora una legge sul fine vita.
«C’è la Costituzione, ci sono gli accordi sovranazionali di Oviedo. Ma per noi era tutto chiaro fin dal giorno dell’incidente. La libertà di disporre del mio corpo e quindi di rifiutare un trattamento sanitario è un principio costituzionale. La Cassazione, il 16 ottobre 2007 nel caso di Eluana, ha sancito che la Costituzione non discrimina le persone per la loro condizione, per esempio se non sono in grado di intendere e volere. Per un principio banale ho dovuto combattere 5750 giorni. D’altronde anche Mandela è rimasto in galera ventotto anni perché rivendicava la parità di bianchi e neri».
Senza una legge potrà esserci un nuovo caso Eluana?
«Assolutamente no. Poniamo che succeda a me la stessa cosa di mia figlia: ho delegato tutto a un avvocato che ha le mie disposizioni, sottoscritte davanti a un notaio».
E se il medico si rifiutasse di eseguirle?
«Voglio vedere quale dottore potrà farlo. È stato chiarito, nel caso di Eluana, ma vale per tutti, che in base alla Costituzione e alla Convenzione di Oviedo ci vuole il consenso per proseguire le terapie».
Il dibattito è se la nutrizione o l’idratazione artificiale siano terapie, dunque rifiutabili in base all’articolo 32 della Costituzione, o cure. In questo secondo caso non sono rifiutabili.
«Le società scientifiche si sono espresse dicendo che sono terapie. Se il legislatore stabilisce un principio contrario a ciò che sostengono le società scientifiche, siamo in uno Stato etico».
Forse il problema è che hai toccato quello che è un tabù per molti: la morte.
«Le persone sono libere di non toccarlo. Ma nessuno più, se lo vuole, si farà intrappolare come Eluana. Condannare qualcuno a vivere è il crimine più orrendo che mente umana possa concepire. Cosa hanno fatto a Eluana? L’hanno condannata creando una condizione di vita estranea al suo modo di concepire l’esistenza».
È il caso di ribadirlo per l’ennesima volta: la battaglia che tu hai fatto non c’entra nulla con l’eutanasia.
«Ancora, leggi la Cassazione: “L’autodeterminazione terapeutica non può incontrare un limite anche se ne consegue la morte”. Parliamo di libertà. Il cardinal Bagnasco all’epoca citò l’eutanasia. Loro possono dire tutte le stupidaggini che vogliono, io invece ero un randagio che abbaiava alla luna. La verità è che la vicenda di Eluana è di una semplicità disarmante e inattaccabile sotto tutti i fronti».
Ma tu che pensi dell’eutanasia?
«È un problema che tutte le società civili dovranno affrontare, questo è certo. Pensa al suicidio di Mario Monicelli: andare incontro alle sue richieste non sarebbe stato meglio?».
Tu e la Chiesa.
«Io distinguo: da una parte le gerarchie, dall’altra i preti».
Non sei un mangiapreti?
«No! Ho il massimo rispetto per la Chiesa, quel rispetto che la Chiesa non ha avuto per Eluana. Io rispetto chi ha convincimenti religiosi, basta che non li impongano a me. Loro parlano di sacralità e indisponibilità della vita come princìpi non negoziabili, la Costituzione parla di inviolabilità della persona e della sua libertà. È tutto qui».
Chi ti ha procurato maggiore amarezza?
«La classe politica, in generale. Loro hanno accusato la magistratura di “sentenze creative” rivendicando il ruolo del Parlamento sui temi etici. Pensa te. Oltre a non aver fatto nulla, visto che il nostro primo appello pubblico risaliva al 2000, hanno ostacolato una sentenza del massimo organo giurisdizionale».
Torniamo al febbraio 2009. Hai mai avuto paura che ti impedissero di applicare la sentenza del tribunale che autorizzava il distacco dell’alimentazione artificiale a Eluana?
«Altro che paura! Le studiavamo tutte per essere pronti a superare qualsiasi ostacolo. Negli ultimi giorni le violenze sono state inaudite».
A cosa ti riferisci?
«Non dovevano intromettersi. Eluana, a dieci anni, dopo una disputa familiare ci disse: “Credete di avere a che fare con la mia vita?” Ecco, gli altri non si sono chiesti se pensavano di avere a che fare con la sua vita».
Alcuni dicevano: «Englaro fa tutto questo perché entrerà in politica».
«Ma per carità. Ci ho pensato mezzo secondo, quando nel 2009 me lo chiese Ignazio Marino. Lui ci ha aiutato concretamente, in quei giorni di febbraio. È stata l’unica volta che ho preso in considerazione questa idea ma ho subito detto di no».
Giuliano Ferrara invitò la gente a portare simbolicamente bottiglie di acqua per Eluana.
«Li ha colpiti la follia. Io non ho mai replicato a Ferrara, se uno non capisce e non ha rispetto cosa vuoi dire? Tutto era cristallino. È mancato il rispetto, certo, ma nei nostri confronti».
Tu credi in Dio?
«Sono agnostico. Ho rispetto per chi crede, io non credo ma non escludo niente».
Hai paura della morte?
«No. Eluana non l’aveva, la sua mamma neanche. Avevamo solo un terrore, quello della profanazione del corpo».
Chi era Eluana?
«Era una perla rara. Libera, forte e determinata, fin dalla più tenera età, con un concetto molto definito di libertà e dignità».
Chi era Saturna?
«Era l’unica vera e grandissima espressione di amore per Eluana. Splendida come la figlia. Quando tutti parlavano di amore per la figlia... ecco, quell’amore era lei».
Chi è Beppino?
«Non lo so più, dopo tutta questa devastazione».
Non lo sai più?
«So che sono un carnico. Sono un capofamiglia di Paluzza, della località “Gleriuces”, in italiano “il greto del fiume”. Quello era il campo di battaglia dei miei sogni infantili di libertà. Sono socialista, liberale, autonomista, e attraverso la vicenda di Eluana ho cercato di impegnarmi pubblicamente per sollecitare una riflessione culturale nel nostro Paese e di “andare oltre” sulla questione delle libertà e dei diritti fondamentali della nostra Costituzione. Diritti sanciti e, purtroppo, spesso dimenticati».
Era il luglio 2011. Telefonai a Beppino perché mi trovavo dalle sue parti. Andammo a mangiare al passo della Culmine, tra Lecco e Bergamo. A pranzo o per strada tutti lo riconoscevano e discretamente a turno gli si avvicinavano per ringraziarlo, con composta educazione. Ricordo un’immagine di quella giornata: i miei due figli che camminavano sul sentiero di ritorno verso casa tenendo la mano di Beppino, uno per lato, come i due nipotini che lui non avrebbe mai avuto.
Beppino, ricordi?
«Come fosse ieri. Ricordo la gioia dei bimbi».