Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 14 Lunedì calendario

In cella con Olindo, convinto che un giorno tornerà libero insieme a Rosa

«Tra me e Rosa non è cambiato nulla, ma vorrei passare più tempo insieme a lei. È la cosa che mi manca». Olindo Romano è ancora innamorato di sua moglie Rosa Bazzi, nonostante si possano vedere solo tre volte al mese. Sei ore in tutto. Lui, classe 1962, faceva lo spazzino. Ora è rinchiuso nel carcere di Opera. Lei, di un anno più giovane, era una donna delle pulizie. È in cella a Bollate. Sono stati condannati all’ergastolo per aver ucciso quattro persone – ferendone gravemente un’altra – a Erba, l’11 dicembre 2006. Secondo le sentenze, dopo anni di liti condominiali hanno stroncato con coltelli e spranga la loro vicina Raffaella Castagna (30 anni), suo figlio Youssef Marzouk di 2, sua madre Paola Galli di 60 e un’altra residente del palazzo: Valeria Cherubini, 55. Mario Frigerio, 65 primavere, è riuscito a sopravvivere per miracolo (poi è morto per malattia). Ora gli avvocati di Olindo e Rosa (Fabio Schembri, Luisa Bordeaux, Nico D’Ascola) sperano di poter riaprire il processo. Facendo analizzare del «materiale pilifero», probabilmente capelli, trovato sul corpo del piccolo Youssef. Olindo – ciabatte, pantaloni della tuta blu e maglietta azzurra – crede di poter essere scagionato. Lo confida in una lettera, dove risponde a delle domande di Libero.
Signor Romano, come sta?
«Come salute sto abbastanza bene, mentalmente sono provato ma guardo avanti. A tempi migliori».
Ci descriva la sua giornata tipo.
«Mi sveglio verso le 8, faccio colazione e terapie per la pressione. Dalle 9 alle 11 lavoro. Tengo pulito fuori dal fabbricato dove mi trovo: strada, parcheggio e giardino».
Poi?
«Verso le 13 pranzo, con un’ora per andare nel locale cucina se voglio prepararmi qualcosa. Poi a volte vado all’ora d’aria con gli altri, mi occupo del giardino, taglio l’erba, se mi avanza tempo mi occupo dell’orto. Dalle 16 alle 19 faccio doccia e bucato».
E si arriva all’ora di cena.
«Non mi perdo mai Il segreto! (una soap opera spagnola, ndr). Ma nei fine settimana non c’è, quindi vado in una saletta a giocare a carte, poi ceno. Mi piace preparare piatti veloci: spaghetti col sugo, carni, cibi surgelati. Alle 23 vado a dormire, magari sbrigo le faccende domestiche e rispondo alla corrispondenza».
Chiuda gli occhi. Che profumo c’è in carcere?
«C’è un po’ di odore di fumo, nel bagno di Lysoform con il detersivo che uso per il bucato».
Com’è la sua cella?
«Entrando a destra, c’è un mobiletto con le ruote dove tengo le scarpe e sul ripiano le cose di cartoleria. Alle pareti ho tre calendari compreso quello di frate Indovino».
E che se ne fa di tre calendari?
«Sono indispensabili per non dimenticarmi cosa ho da fare!».
Diceva della cella.
«C’è un vecchio letto da ospedale con materasso e cuscino da campeggio che ho acquistato un paio di anni fa. Lì vicino ho il campanello per le emergenze e una lampadina che mi permette di scrivere. Ho una finestra, sulla sinistra c’è un piccolo bagno con lavabo, wc e una vaschetta attaccati insieme in acciaio, con i rubinetti da giardino. Poi ho un armadietto in metallo e un tavolino dove tengo quello che mi serve per cucinare. Tutto è tinteggiato di arancione col soffitto bianco».
Ha mai diviso la cella con qualcuno?
«No».
Può leggere i giornali e navigare in Internet?
«Leggo un po’ di tutto, la tv la guardo poco, a Internet non si può accedere».
È interessato anche alla cronaca nera?
«Non la seguo molto».
Si è fatto un’idea di Massimo Bossetti, il muratore accusato di aver ucciso Yara Gambirasio?
«Anche su Bossetti hanno fatto un grande pasticcio, non ho idea di come andrà a finire».
Riceve molte lettere?
«Sì, se fossero di più farei fatica a rispondere perché non ne avrei il tempo. Ho degli amici di penna che per qualche ora mi aiutano a dimenticare questo brutto luogo».
Lei è considerato un mostro.
«Mi sento come un pesce di lago finito in una palude».
E come la trattano gli altri detenuti?
«C’è chi mi parla e chi no e io mi comporto di conseguenza, non ho mai avuto grossi problemi».
C’è qualcosa che le ha dato particolarmente fastidio?
«Il modo, o la maniera, con cui tanti giornalisti della carta stampata e della tv, estrapolando da atti e documenti, sono stati colpevolisti a prescindere perché non hanno guardato tutto il contesto. Evidentemente non faceva notizia. Così hanno rovinato tanta gente, influenzando chi è chiamato a giudicare».
Qual è il momento più bello e più brutto che ha avuto in carcere?
«Diciamo che i momenti, belli o brutti, qui hanno un sapore diverso. Anche perché non mi manca qualcosa in particolare, qui mi manca sempre tutto!».
E in particolare le manca sua moglie Rosa...
«Il nostro rapporto non è cambiato, ma si è ridotto alle poche ore che abbiamo a disposizione».
Ha più sentito qualcuno della famiglia Castagna, per esempio il signor Carlo che nella strage ha perso figlia, moglie e nipote?
«Non ho più sentito nessuno, se poi loro considerano esaurienti i processi e sono convinti di aver ottenuto nel suo insieme un giusto processo al di là di ogni ragionevole dubbio, be’ non c’è niente da dirgli».
E cosa pensa di Azouz, il marito di Raffaella Castagna e del piccolo Youssef?
«Azuz ha capito che le cose non tornavano, ma ormai è andata così. Guardiamo avanti. C’è ancora Strasburgo (la corte di giustizia europea che dovrà stabilire se i Romano hanno avuto un giusto processo, ndr) e la revisione del processo».
Ha incubi?
«No, dato che vivo un incubo. Quando mi sveglio non ricordo cosa ho sognato».
Lei e sua moglie prima vi siete autoaccusati e poi vi siete professati innocenti. Perché avete confessato, se non avete commesso la strage?
«È successo il 10 gennaio (2007, ndr), quando un carabiniere della scientifica di Como è venuto per prendermi delle impronte. Con lui ce n’era un altro, che non doveva essere lì e mi chiedo: chi l’ha mandato?».
E cos’è successo?
«Soprattutto lui, con insistenza, mi ha prospettato la migliore via d’uscita dalla mia situazione, e a Rosa hanno detto la stessa cosa».
Scusi, signor Romano: lei e sua moglie Rosa eravate accusati di reati gravissimi. Come potevate credere che la migliore via d’uscita fosse confessare un crimine mai commesso?
«Sul momento mi è sembrato il minore dei mali, non avevo capito che ero finito in qualcosa di più grande di me. Chiamatela come volete: manipolazione, trappola psicologica… L’avvocato d’ufficio è stato travolto pure lui».
Poi avete cambiato idea.
«Grazie a persone che ci erano vicine abbiamo capito che stavamo sbagliando e abbiamo ritrattato, ma quando sono arrivati gli avvocati che abbiamo tuttora il disastro era già stato fatto. Il giudice non ci ha ascoltati».
Cosa ricorda della sera della strage, quando siete tornati da Como e avete trovato la vostra palazzina zeppa di carabinieri, pompieri, giornalisti e curiosi?
«Ricordo quasi tutto, ma sono ricordi poco piacevoli e sfuocati dal tempo trascorso».
Ma se non siete stati lei e Rosa, chi ha ammazzato quelle persone?
«Non saprei».
Si sente una vittima?
«Vittima o capro espiatorio, la differenza è poca».
Cosa pensa della giustizia italiana?
«Va cambiata, lo sanno e lo dicono quasi tutti, il problema è che non lo fa mai nessuno. Per il momento».
Nei momenti difficili cosa l’ha aiutata?
«La speranza. E tante brave persone che ci hanno sostenuto a partire dai nostri legali e da altri che non conosco ma che a suo modo ci hanno aiutato».
Va a messa?
«Posso andarci ogni quindici giorni, Dio è sempre di conforto come lo sono i cappellani che ci sono nelle carceri».
S’immagini fuori di qui.
«La prima cosa che farei è abbracciare Rosa!».
Le capita di pensare alla vostra vecchia casa di Erba?
«Qualche volta, anche se non è più nostra».
Non si distrae col calcio?
«Non lo seguo».
Ascolta musica?
«Sì ma non ho preferenze: ogni cantante o gruppo ha dei brani che mi piacciono. Italiani e non».
Segue la politica?
«Non mi pongo il problema: mi hanno tolto il diritto di voto».
Ultima domanda: crede davvero di poter tornare libero, dimostrando la sua innocenza?
«Certo che ci credo, e non sono il solo a crederci».