il Fatto Quotidiano, 14 dicembre 2015
Catalogo delle banche in difficoltà
Per favore, smettiamola con lo sciacallaggio”, dice il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, quando i cronisti gli chiedono del conflitto di interessi di Maria Elena Boschi, ministro delle Riforme, piccola azionista di Banca Etruria e figlia del suo ex vicepresidente. Poi aggiunge: “Le nostre banche sono solide: sono la spina dorsale dell’economia, a maggior ragione dopo l’intervento del governo”. Un intervento che ricorda quello dell’ex premier Mario Monti nel gennaio 2013: “È essenziale non proiettare ombre che non hanno ragione d’essere sul sistema bancario in generale”, disse, all’indomani dello scandalo Mps.
In realtà, allora come oggi non si può stare proprio tranquilli: negli ultimi due anni Bankitalia ha commissariato ben 26 banche su 208. Più di una su dieci. Gli istituti in amministrazione straordinaria oggi sono 16. Ma torniamo al 2013. É un anno decisivo per la famiglia D’Angelo, che in quei mesi investe 110mila euro – tutti i suoi risparmi – nelle “obbligazioni secondarie” di Banca Etruria della quale, peraltro, il padre del ministro Boschi è vice presidente. Forse la vista, dallo scranno di un ministero, offre uno scenario più tranquillizzante, rispetto alla prospettive che a migliaia di piccoli imprenditori e correntisti – non speculatori – che investono i risparmi di una vita o chiedono un piccolo finanziamento per tirare avanti. É il caso di Luigino D’Angelo, per esempio, che firma gli atti mentre l’allora ministro dell’Economia Vittorio Grilli rassicura tutti: “È indispensabile non insinuare dubbi sulla solidità del sistema creditizio”. Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco conferma: “Il sistema bancario italiano è fondamentalmente sano”. É forse sciacallaggio ricordare che Luigino, il 28 novembre scorso, quando scopre che non rivedrà più un centesimo – denunciando in una lettera di non aver capito cosa aveva sottoscritto in Banca Etruria – si ammazza impiccandosi?
INTESA UNICREDIT Partiamo dai primi due gruppi bancari italiani, Unicredit e Banca Intesa, che insieme valgono 85 miliardi di euro. Quando a marzo 2015 Unicredit deve trattare la ristrutturazione del debito (da 65 milioni) dell’imprenditore Andrea Bulgarella – che non si realizzerà – si scopre che un ruolo fondamentale lo riveste tale Roberto Mercuri. É l’uomo di fiducia del numero due di Unicredit, Fabrizio Palenzona, e le indagini svelano due dettagli: Mercuri ha un ufficio al trentesimo piano della sede centrale; Mercuri non ha alcun ruolo ufficiale nella pianta organica della banca. Ma c’è di più. Ai debiti con Unicredit, per Bulgarella, si aggiungono esposizioni per 10 milioni con Intesa San Paolo. E per ristrutturare il debito di Bulgarella, in Unicredit, bisogna declassare da “sofferenza” a “incaglio” la posizione in Banca Intesa. Il capo dei crediti Italia di Unicredit, Massimiliano Fossati, invia un sms a Mercuri: “Parlato con Michele Dapri (funzionario di Banca Intesa, ndr). Individuato il dossier da loro. Lo hanno già classificato a sofferenza a febbraio. Stasera parla con Miccichè (direttore generale di Intesa San Paolo, ndr) e vedono di rettificare ad incaglio”. L’operazione va in porto.
Tre giorni dopo è Intesa che chiede qualcosa a Unicredit. “Dapri di Intesa – si legge negli atti – telefona a Piemontesi per chiedergli di trovare una soluzione favorevole circa la posizione di un imprenditore alberghiero siciliano che ha un contenzioso aperto con Unicredit dell’ importo di 26 mila euro. Dapri specifica che la richiesta è stata sollecitata dal proprio direttore generale (Micciché Gaetano)”.
Se non bastasse, per i pm fiorentini “l’imprenditore in questione” è Giuseppe Montalbano, che gestiva la società “Villa Antica”, proprietaria della villetta in cui Salvatore Riina ha trascorso l’ ultimo periodo di latitanza”. L’ interessamento chiesto da Micciché secondo la procura va a buon fine. Né Micciché, né i funzionari menzionati, sono indagati. Ma le conversazioni spiegano in che modo, tra i primi due gruppi bancari italiani, si stabilisce a chi dare – o negare – il credito. Passiamo al terzo gruppo bancario: Ubi.
UBI BANCA Siamo sempre nel 2013 e il consiglio di sorveglianza di Ubi Banca, secondo la procura di Bergamo, raccoglie illecitamente deleghe in bianco. Gli uomini del Nucleo speciale valutario della GdF indagano su Ubi Banca e sui suoi top manager (Victor Massiah, Franco Polotti e Andrea Moltrasio), nonché su Giovanni Bazoli – oggi presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa – che è stato presidente del consiglio direttivo di una associazione di soci di Ubi. La procura vuole capire se v’è stato un ostacolo alle funzioni di vigilanza su presunti patti parasociali che hanno partorito la Ubi. Se non bastasse, altre “ombre” si addensano sulla Iw Bank, partecipata dalla Ubi, dove è in corso addirittura un’indagine per auto riciclaggio.
IW BANK La GdF indaga su 11 funzionari per un presunto riciclaggio di 16 milioni. Alcuni dei conti analizzati, infatti, sarebbero alimentati da denaro che arriva da Svizzera e Irlanda, da società inserite nelle black list. ma il dato più inquietante è un altro: su 144 mila conti accesi online, ben 104 mila non consentono di verificare l’ esatta identità della clientela. Le restanti 40 mila posizioni, hanno un alto tasso di incompletezza. Come dire: non sarebbe chiaro chi abbia operato, dal 2009 a oggi, sui conti online dell’importante sorella di Ubi Banca.
TERCAS Maggio 2012: Bankitalia commissaria la Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo (Tercas) “per gravi irregolarità e violazioni normative”. Tercas conta 165 sportelli e 1.600 dipendenti. Tra le cause della crisi, l’acquisto per 228 milioni di Caripe, la Cassa di Risparmio di Pescara. Adesso Tercas è controllato dalla Banca Popolare di Bari.
CARIGE Quando, nel 2012, al timone della banca c’era Giovanni Berneschi, alle assemblee Carige spuntava un piccolo, combattivo azionista, Luigi Barile, che chiedeva spiegazioni. Berneschi lo liquidava così: “Belin, abbiamo i conti in regola”. Accanto a lui c’era tutto il potere ligure, compresa mezza famiglia Scajola. E nessuno fiatava. Finché la procura arresta Berneschi, si aprono inchieste che mettono sotto accusa (anche se non penalmente) il mondo politico e imprenditoriale. Centrodestra, centrosinistra, figure vicine alla Curia di Genova. Quattro i filoni di inchiesta: una truffa che sarebbe stata compiuta facendo la cresta sugli immobili per portarsi soldi in Svizzera. Poi la storia del Centro Fiduciario e dei rapporti con i clienti vip. Quindi i finanziamenti e i fidi concessi a imprenditori già in difficoltà, ma con amici potenti: centinaia di milioni che mettono in grave difficoltà i conti Carige. Ora al timone di Carige c’è la famiglia degli industriali Malacalza. Secondo azionista è Gabriele Volpi, diventato miliardario con il petrolio nigeriano, nelle ultime settimane il titolo ha perso il 20%.
POPOLARE VICENZA Ci sono voluti gli ispettori della Bce – i controlli di Bankitalia non erano stati efficaci – per far scoppiare lo scandalo della Popolare di Vicenza, per vent’anni presieduta dall’industriale Gianni Zonin, che ha mollato la presa solo poche settimane fa. Secondo i pm la banca avrebbe prestato 975 milioni ai soci, purché comprassero azioni dello stesso istituto. Così la Popolare avrebbe finanziato, secondo i pm, un quarto del suo capitale azionario (circa 4 miliardi). Oltre all’aggiotaggio, contestato anche il reato di ostacolo alla vigilanza.
VENETO BANCA All’assemblea del 2 dicembre scorso la valutazione delle azioni è fissata un prezzo shock: 7,3 euro, l’81% in meno rispetto al passato. Per molti soci significa perdere i risparmi di una vita. Il valore delle azioni, secondo i pm, negli ultimi anni sarebbe stato pompato da 14 fino a 41 euro, attirando migliaia di nuovi soci, passati in un decennio da 10mila a 88mila. Come? Promettendo finanziamenti, secondo l’accusa, in cambio dell’acquisto di quote. Nove mesi fa il Governo impone di trasformare le dieci maggiori popolari italiane in spa (come la Popolare di Vicenza).
POPOLARE SPOLETO Per 10 anni gli ispettori di Palazzo Koch hanno sottolineato una gestione carente e allegra della Banca Popolare di Spoleto, finito sotto l’egida di Giovannino Antonini, “signore delle tessere” della Spoleto Credito e Servizi (Scs), la cooperativa con 21mila soci che possedeva il 51% della banca. Nel 2011 Banca d’Italia decreta: Antonini non può più fare il presidente e i nuovi vertici devono far emergere il credito deteriorato. Cda e direttore generale fanno quel che chiede Bankitalia portando alla luce sofferenze per decine di milioni in un anno. Nel frattempo la Procura di Spoleto inizia a indagare sulle malversazioni. In quel momento, per rispettare i parametri della Vigilanza, è necessario un aumento di capitale da circa 100 milioni. I manager presentano un piano per chiedere quei soldi al mercato ma Bankitalia, a febbraio 2013, commissaria sia Bps che la cooperativa Scs. Ora la situazione è questa: i commissari hanno venduto Bps alla Popolare di Desio con un aumento di capitale realizzato per lo più in natura (attraverso la cessione di sportelli nel Centro Italia). Il valore delle vecchie azioni si è ridotto a zero e i 21mila soci della Spoleto Credito e Servizi si trovano pure accollati una parte dei debiti pregressi. La Procura di Spoleto indaga sul ruolo di Bankitalia: sul registro degli indagati è finito il governatore Visco.
CARICHIETI, BANCA ETRURIA, CARIFERRARA e BANCA MARCHE I risparmiatori scoprono che le obbligazioni subordinate, a detta di molti acquistate senza essere informati del rischio, erano una bomba pronta a scoppiare.
Ma negli ambienti bancari e politici la situazione era nota da anni. Tra il 2013 e il 2015 le quattro banche sono commissariate e vengono indagati i vertici di Banca Etruria.
Luigino D’Angelo, fidandosi della sua banca, ha già acquistato le obbligazioni subordinate che gli fanno perdere i risparmi di una vita. La sua morte scuote l’opinione pubblica. Ma “il sistema bancario è sano e solido”, dice alla Leopolda il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, aggiungendo l’assoluta “fiducia nei vertici di Bankitalia e Consob”. Nelle stesse ore Adusbef e Federconsumatori annunciano: “Le evidenti responsabilità dell’omessa vigilanza nei casi di Banca Marche, CariFerrara, CariChieti, Banca Etruria e altre due banche venete, saranno accertate dalla procura di Roma, che ha aperto un’inchiesta su Bankitalia”.