Il Sole 24 Ore, 14 dicembre 2015
Tutti i numeri del ritardo del Sud
Sempre più povero, vecchio e arretrato. Un territorio in preda alla paralisi, dove i giovani gettano la spugna, le famiglie congelano i consumi e le imprese non trovano la spinta per lasciarsi le difficoltà alle spalle. È a tinte fosche il ritratto del Mezzogiorno secondo le ultime istantanee scattate da Svimez, Istat e Banca d’Italia. La crisi ha causato una lacerazione profonda nel Paese, che oggi più che mai appare spaccato a metà. Così se nel Centro-Nord le stime per l’intero 2015 lasciano intravedere i primi germogli di ripresa, al Sud gli indicatori si confermano negativi o solo in timido recupero, a conferma di un ritardo che sta diventando strutturale.
A salire sul banco degli imputati è il trend sfavorevole della domanda interna, sia per i consumi sia per gli investimenti. Dal 2007 al 2014 il Pil del Sud ai prezzi di mercato si è ridotto del 4,3%, mentre quello del Centro-Nord ha avuto un andamento opposto, con un rialzo dell’1,7%. A valori concatenati il livello di crescita è invece sceso del 13%, circa il doppio rispetto al calo del 7,4% del resto del Paese. Non solo: il divario di Pil pro capite nel 2014 ha toccato il punto più alto degli ultimi 15 anni, tornando, con il 54%, ai livelli del 2000. Tra l’area più ricca,la provincia autonoma di Bolzano, e la più povera, la Calabria, lo scorso anno la distanza è stata di quasi 24mila euro.
Già nel 2014 la crisi si è attenuata in quasi tutto il Centro-Nord, molto meno al Sud. E se i consumi hanno iniziato lentamente a invertire la rotta nel resto del Paese, lo scorso anno nelle regioni meridionali la spesa ha raggiunto il punto più basso dal 2007, con una caduta cumulata del 13% dal 2008 al 2014. Il taglio ha riguardato tutte le voci, in particolare vestiario e calzature, ma anche i servizi per la cura della persona e l’istruzione, che negli anni considerati hanno registrato un calo tre volte superiore a quello del Centro-Nord. Un dato che trova riscontro nell’indice di povertà assoluta, passato dal 3,8 al 9% in otto anni.
Zavorrati su livelli allarmanti restano anche i principali indicatori del mercato del lavoro. La disoccupazione veleggia intorno al 20% (il doppio rispetto al resto del Paese). I dati Istat evidenziano una timida ripresa di chi ha un’occupazione nel primo semestre 2015 (+0,4%), anche per effetto degli sgravi sulle assunzioni a tempo indeterminato. La distanza resta però enorme:?la Sicilia è maglia nera per l’incremento dei contratti stabili (+4,3%), mentre il Friuli Venezia Giulia è in testa (+78%). Solo i dati del terzo trimestre, diffusi venerdì, mostrano qualche spiraglio di recupero rispetto alla débâcle del periodo 2008-2014 con un tonfo degli occupati del 9%, oltre sei volte quello del Centro-Nord. In sette anni sono svaniti più di 500mila posti, il 70% del totale.
A perdere il lavoro negli anni della crisi sono stati soprattutto i giovani:?nel 2014 il tasso di disoccupazione al Sud è arrivato al 56%, senza contare l’effetto sul record negativo dell’Italia in Europa per i «Neet» che non lavorano e non studiano. Oltre la metà dei 2,4 milioni di under 30 “in stand-by” è concentrata nel Mezzogiorno, soprattutto in Campania (più di 400mila Neet). E intanto la popolazione invecchia: nel 2014 i nati hanno toccato il valore più basso dall’Unità d’Italia, 174mila.
Il gap tra le due aree del Paese è evidente anche per le imprese. Nel 2014 gli investimenti fissi lordi hanno segnato una caduta maggiore al Sud, in tutti i settori. A registrare il calo maggiore, dal 2008 allo scorso anno, sono stati quelli dell’industria in senso stretto, crollati del 59%, tre volte in più del Centro-Nord. La caduta degli investimenti erode la base produttiva e accresce i divari di competitività: dal 2007 al 2014 il valore aggiunto dell’industria è arretrato del 25%, mentre nel resto del Paese è cresciuto dell’1,8%. La forbice è ampia anche per l’export, che già alla fine dello scorso anno al Centro-Nord aveva superato i valori pre-crisi con un rialzo del 16,5%, mentre nelle regioni meridionali è ancora in terreno negativo (-2,7%).
Il rischio, evidenzia a chiare lettere il rapporto Svimez, è che «il depauperamento di capitale umano, sociale, imprenditoriale e finanziario potrebbe impedire all’area di agganciare la possibile crescita e trasformare la lunga crisi in un nuovo equilibrio “al ribasso” di minore sviluppo e minore benessere».