Corriere della Sera, 14 dicembre 2015
In difesa di Diawara che fa lo scimmione sotto la curva
Sarà squalificato, perché i regolamenti sono di materiale anelastico, ascendente ottuso. Ma siccome noi umani siamo un po’ meno rigidi (forse), con un minimo di sforzo possiamo comprendere e persino ringraziare Diawara, che nella tetra guerra mondiale dei nostri stadi introduce l’unico elemento davvero innovativo e spiazzante: l’ironia. L’evento: alcuni ultrà del Genoa, come tanti ultrà di tutti i colori, sfottono il suo colore biscottato facendogli il verso del gorilla. Nel nostro costume, tipico caso di tifo razzista (anche se bisognerebbe spiegare come mai un certo tifo, lo stesso tifo, riesca tranquillamente a idolatrare i neri della propria squadra). Diawara potrebbe reagire come prevede la procedura: dopogara con accigliata conferenza stampa e forte richiamo alle carte sui diritti dell’uomo. Niente, a Marassi si cambia: Diawara semplicemente fa lo scimmione sotto la curva. Così lo insultano, così li ridicolizza. Nel suo piccolo, il mimo si schiera con i grandi dell’ironia, con i Jonathan Swift e con lo stesso Leopardi, noto come cupo mortaccione, ma capace di scrivere nello Zibaldone «terribile è la potenza del riso: chi ha il coraggio di ridere, è padrone degli altri». Seppellire i beceri e gli squallidi con una risata non è l’unica soluzione, ma è una soluzione. Agli anglosassoni piace pensare che ironia, irony, abbia la stessa radice di iron, acciaio. Non c’è come questo particolare dell’acciaio per lasciare un segno profondo sulle teste più dure.