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 2015  dicembre 14 Lunedì calendario

Il caso del ginecologo di Mantova condannato per aver fatto nascere una bimba down

Il dovere di un medico non si esaurisce nel valutare lo stato di salute del suo paziente. Non basta, non è tutto: un paziente deve sempre essere messo nelle condizioni di poter decidere le terapie e gli esami cui sottoporsi. Deve sapere quali sono le opzioni (tutte le opzioni) che ha di fronte a sé; il dottore non può decidere al posto suo, tacendogliele.
La Cassazione ha condannato un ginecologo di Mantova a risarcire una donna che ha partorito una bambina affetta dalla sindrome di Down e suo marito. Avevano deciso di abortire se fosse stata affetta da gravi malformazioni. I dottori lo sapevano. Eppure il ginecologo non è andato oltre gli esami indispensabili, come il bi-test, prelievo di sangue che fornisce un indice di rischio sulle patologie. Gli esiti erano positivi, non sembrava necessario approfondire, anche perché la signora Libuse S., originaria della Repubblica Ceca, all’epoca ventenne, era giovane e in buona salute. Non le ha consigliato l’amniocentesi né l’analisi dei villi coriali (un campione di tessuto della placenta). Ma, soprattutto, non l’ha informata su tutte le indagini prenatali utili a rilevare eventuali malformazioni del feto che i genitori hanno poi deciso di non riconoscere. 
Dieci anni
Libuse S. e suo marito, Marco C., hanno fatto causa al medico dieci anni fa (e ora il processo torna in Corte d’Appello a Brescia, probabilmente per fissare l’entità dell’indennizzo): persa. Hanno fatto ricorso in appello: perso. Il terzo grado di giudizio ha invece riconosciuto la loro battaglia e suona in apparente contraddizione con gli orientamenti del ministero della Salute, impressi nel decreto sull’«appropriatezza prescrittiva»: evitare gli esami inutili o ridondanti che si trasformano in sprechi e gonfiano le liste d’attesa. Chi non si adegua rischia sanzioni, e su questo fronte i medici stanno dando battaglia da mesi. 
La Cassazione sembra muoversi in direzione contraria: il ginecologo mantovano è stato condannato proprio perché, non avendo effettuato esami approfonditi, non ha diagnosticato la grave malformazione del feto. Non gli viene contestata una colpa medica – non aver intercettato per tempo i gravi problemi della bimba – ma una negligenza più sottile: non ha impostato un corretto rapporto con la sua paziente. Che era preoccupata: «Il risultato del bi-test suonava come un campanello d’allarme»; «il livello di rischio era doppio rispetto alla norma»; «mi ha prescritto l’ecografia morfologica oltre la ventiquattresima settimana, quando non avrei più potuto interrompere la gravidanza». In questa situazione, secondo i cinque giudici della Cassazione, il ginecologo non aveva l’obbligo di prescrivere esami approfonditi, dato che non esisteva un rischio specifico; il suo errore è stato decidere al posto della paziente – non parlandogliene nemmeno – che poteva bastare così, non servivano altre analisi. Al contrario – poiché le intenzioni della donna erano chiare – avrebbe dovuto informarla di tutte le possibilità a sua disposizione: esami specifici, magari da effettuare in un «centro di più elevato livello di specializzazione». Ecco perché dovrà pagare: un medico ha sempre il dovere di fornire indicazioni complete anche nel caso in cui «esami, interventi alternativi o complementari comportino costi o rischi maggiori, essendo rimessa al paziente la valutazione dei costi e dei rischi».