La Stampa, 14 dicembre 2015
È morto Carlo Torre, il medico legale che non diceva niente ma lo diceva bene. Le sue perizie fecero scarcerare la Frazoni, tra i suoi casi anche Vacca Agusta e Marta Russo
I capelli un po’ imbizzarriti da scienziato pensieroso, la cintura dell’impermeabile svolazzante, sorridente e cortese con tutti, sfotteva i cacciatori di scoop: «Non vi ho detto niente, ma l’ho detto bene». Dietro quell’aria d’avventura e un po’ di mistero portava invece in ogni storia criminale il rigore della scienza e dell’etica Carlo Torre, morto ieri a 69 anni per un tumore. Si apprestava a divenire consulente della difesa nel processo d’Appello contro il marito di Elena Ceste.
Nelle sale delle autopsie, nelle aule di giustizia come nelle poche apparizioni in tv (molti ricordano il «Porta a porta» con i plastici della casa di Anna Maria Franzoni) non si atteggiava a Maestro che dispensa verità, ma della verità rappresentava la ricerca ostinata e paziente, pacata eppure talvolta venata di emozioni.
Laureatosi in medicina nel ‘71, sulle orme del padre – Michele Torre, figura storica della psichiatria – psichiatra il fratello Eugenio, sposò la via che ai meccanismi della mente approda dopo quelli che studiano il corpo e il suo strazio. Specializzato in Medicina legale, autore con Lorenzo Varetto, prima allievo poi caro collega, di manuali fondamentali (è del 1989 «L’autopsia giudiziaria»), fondatore nel 1995 del Laboratorio di Scienze Criminalistiche, Carlo Torre ha vissuto indagini d’ogni sangue, dalla mafia alla passione, dal terrorismo alla violenza apparentemente gratuita, con quello spirito sintetizzato nel titolo d’un libro di Pino Donizetti: «Il cadavere interrogato rispose».
Per 30 anni di carriera è stato consulenze prezioso delle indagini nell’immediatezza, a crimine appena avvenuta, soprattutto è stato perito super partes, per il collegio giudicante, dal caso Vacca Agusta fino all’omicidio di Marta Russo all’Università a Roma. Si aprì, forse proprio con il caso Russo, una riflessione sui ruoli nel processo. E la riflessione si fece definitiva di fronte a un episodio più oscuro, ignoto e banale per i grandi appassionati di cronaca nera: un marocchino trovato morto nel letto, i genitori accusati d’averlo ucciso: la perizia di Torre ribaltò un processo che tutti davano per scontato.
Da quegli innocenti portati via all’ingiustizia dalla scienza, volle impegnarsi ad affrontare i segreti neri da un’ottica nuova, lavorando per la difesa: «Il processo è cambiato. E noi si matura, anche con qualche anno addosso».
Eccolo accanto a Carlo Federico Grosso nei primi passi del delitto di Cogne: «Se trovo una minuzia che inchioda Anna Maria la consegno a te e ai magistrati», disse al Professore». «Va bene», rispose Grosso. E ottennero dal Tribunale del Riesame la scarcerazione. Furono i giorni del plastico portato in tv, ammirato e sfottuto, mesi di un entusiasmo giovanile inscalfibile.
Come poi all’ingresso del Palazzo di Giustizia di Como, per la strage di Erba, dove ancora affiancava la difesa: «Non sono qui per dire il contrario del collega. Non ho preconcetti». E, con semplicità un po’ ruvida e un po’ dolce: «Mi piace la verità scientifica».