La Stampa, 14 dicembre 2015
Burundi, la carneficina del presidente. Ogni notte il capo dello stato ordina decine di esecuzioni. Ma nessuno parla di genocidio
Decine di cadaveri stesi uno fianco all’altro. Giustiziati con un colpo di kalashnikov alla nuca. Questo lo scenario che si sono trovati davanti gli abitanti di Nyakabiga, quartiere di Bujumbura, capitale del Burundi, roccaforte degli oppositori politici di Pierre Nkurunziza, il presidente del Paese rieletto a luglio per la terza volta, nonostante la Costituzione vieti più di due mandati consecutivi. Una manovra politica che ha fatto esplodere gli scontri tra lealisti e ribelli nelle strade del piccolo stato africano. Oltre 500 il numero delle vittime da aprile scorso e circa 220 mila gli sfollati nei Paesi confinanti (Rwanda, Tanzania e Repubblica democratica del Congo). Le esecuzioni dell’ultima notte, 87 morti in poche ore, fanno pensare ad una escalation di violenza che rischia di sfociare in una guerra civile tra hutu e tutsi, i due gruppi etnici che compongono il Burundi. Una rivalità che nell’ultimo conflitto interno risoltosi solo 10 anni fa era costato la vita a circa 300 mila persone. Una carneficina che, al contrario del vicino Rwanda non è mai stata etichettata con il termine genocidio, ma le cui ferite sono ancora aperte.
I fantasmi del passato
Secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, in Burundi la componente hutu sarebbe intorno all’85%. Tra questi l’attuale presidente, il cui padre fu ucciso proprio dai miliziani tutsi. «Si sta verificando una chiara manipolazione dell’elemento etnico sia da parte del governo che dell’opposizione», ha dichiarato alla Bbc Adama Dieng, il consigliere speciale dell’Onu per la prevenzione dei genocidi. Dopo il fallito colpo di Stato dello scorso maggio a opera di un corpo d’élite interno all’esercito, proprio mentre il presidente Nkurunziza si trovava in Tanzania per provare a trovare una soluzione pacifica con i capi di Stato della regione dei Grandi Laghi, la situazione si è deteriorata progressivamente. Il partito al potere dopo aver fatto approvare in fretta e furia una legge anti-terrorismo ha ordinato a esercito e polizia di compiere operazioni di bonifica casa per casa con l’obiettivo di togliere tutte le armi in possesso degli oppositori politici.
Torture e violenze
Secondo Human Rights Watch durante questi raid si sono verificate violenze, torture e uccisioni mirate nei confronti dei tutsi o dei cosiddetti hutu moderati contrari al Presidente in carica. Una minaccia presente anche nei discorsi ufficiali. «Il giorno in cui daremo alla nostra gente l’ordine di portare a termine il lavoro – ha affermato il presidente del Senato – tutto sarà finito e vedrete che cosa succederà». Un lessico molto simile a quello del 1994 in cui si incitavano gli hutu a fare pulizia etnica dei rivali tutsi nel vicino Rwanda. Preoccupata la comunità internazionale che non vuole aspettare troppo e ripetere gli errori commessi 21 anni fa. Nonostante le dichiarazioni di facciata sia l’Unione Africana che le Nazioni Unite hanno già capito che sarà difficile trovare una soluzione diplomatica e hanno fatto sapere di essere pronti a mandare delle truppe di rapido intervento. Per il momento, invece, Stati Uniti e Unione Europea si sono limitati ad applicare sanzioni economiche.