la Repubblica, 14 dicembre 2015
Quando i babbi inguaiano i figli
Nel tempo viscido e zuccheroso dei miscugli emotivi e dei confini saltati, là dove ormai da anni pubblico e privato, politico e personale non solo combaciano, ma si aggrovigliano non di rado litigano anche fra loro, il presidente Renzi, sui tre quarti della sua relazione, ha tirato il fiato raccontando del suo babbo, che da 15 mesi risulta indagato, e sarà questo il suo secondo Natale.
È una storia stranota ai renzologi, debitamente intricata e controversa: ruota attorno a diverse società di Tiziano Renzi, a vari membri della famiglia e a un certo numero di soci, uno dei quali che per buffa coincidenza di cognome fa Massone, ha reso noto che il babbo del premier due volte l’anno organizzava viaggi in pullman a Medjugorje, e il giovane Matteo l’aiutava a caricare le valigie.
È possibile che se Renzi junior non fosse oggi a Palazzo Chigi, il destino anche giudiziario del suo barbuto papà sarebbe più lieve, e adesso anche lui ne sentirebbe meno il peso. Sennonché quando ieri il premier ha riaperto la questione aveva certamente in testa un altro babbo, quello di Maria Elena Boschi, com’è noto impicciato con Banca Etruria – e anche per lei vale la stessa pena, che si traduce in atti giudiziari, maldicenze, scampanellate di giornalisti al citofono e troupe al cancello di casa.
Ora, fermo restando che il potere comporta una responsabilità supplementare, e con essa anche un sacco di grane di solito impreviste, non si è ovviamente in condizione per maturare un giudizio sulle due vicende, che per un giorno si sono sembrate in qualche modo intrecciate, per via di un possibile rapporto di lavoro tra babbo Renzi e babbo Boschi attraverso l’ex presidente di Banca Etruria, Rosi.
Ma per quel poco che con il dovuto smarrimento pare di comprendere: o è la sorte che si accanisce nello stesso momento, negli stessi luoghi e nello stesso comparto contro i babbi del renzismo; oppure, francamente, viene da pensare che siano i due babbi, Tiziano Renzi e Pierluigi Boschi, ad avere, per così dire, una qualche predisposizione ai pasticci in salsa toscana ed eventualmente bancaria.
Se poi si considera che a proposito della concessione di un certo prestito a babbo Renzi nell’ultimo mese le indagini si sono normalmente indirizzate sul ruolo svolto, in qualità di cassiere, dal babbo di Luca Lotti, beh, insomma: pure al di là di qualsiasi implicazione giudiziaria, così come di qualunque richiamo alla teoria di Jung sui nessi a-causali, si converrà che il tris di babbi renziani evoca il Giglio Magico, sia pure in versione debitamente attempata.
Anche di questa singolare coincidenza parentale si chiacchierava, sia pure abbassando voce, ieri mattina alla Leopolda “di lotta e di governo”; vivaio, palestra e tempio della imminente trasformazione dell’Italia, che anzi è già iniziata – sia pure con questo genere di sassolini d’inciampo generazionale.
A tale riguardo, si può aggiungere che Renzi s’è anche detto fiero dell’Italia “dei miei nonni”, pure annunciando di voler essere orgoglioso di quella “dei miei nipoti”. Rimarcare, nella foga del discorso presidenziale, l’omissione retorica dei padri pare, più che ingiusto, malizioso. Ma tant’è.
Neanche a farlo apposta, sempre nella mattinata, la blindatissima regia di Simona Ercolani ha offerto al gentile pubblico leopoldinesco la visione di due video – uno straniero (forse tedesco) e uno identico, ma di ambientazione italiana – che senza troppa fatica si possono far rientrare nell’argomento, divenuto scivolosetto, dei padri e dei figli.
Entrambi narravano per immagini, con ritmo veloce, musiche adeguate e un pizzico di sadico umorismo, l’apologo di un genitore, solo e in tutta evidenza vedovo, trascurato dai figli il giorno di Natale. E allora che ti organizza il vecchietto? La sua morte, annunciata con sms. I figli allora, disperati e pentiti, si precipitano nella vecchia casa paterna. Ma trovano lui vivo e vegeto, che ha pure preparato il pranzo. Abbracci e cena (nella versione italica culminata in una parmigiana di melanzane).
Non che il senso politico dei due video fosse così immediatamente chiaro. Ma certo nel covo della rottamazione è sembrato sanzionare un rovesciamento di senso e prospettive.
Un tempo erano i figli che variamente scapestrati, da Piccioni a Donat Cattin passando per Leone e De Mita, creavano in qualche modo problemi ai potenti. Oggi sono i padri che inguaiano i potenti figli. Non si sa cosa è meglio, forse è lo stesso, forse tutto cambia per restare uguale – come pensano e dicono i gufi.