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 2015  dicembre 14 Lunedì calendario

Nel villaggio tedesco di quaranta anime con il culto di Hitler

Un cancro si sta mangiando la campagna tedesca, sta diffondendo le sue metastasi tra i minuscoli villaggi del Meclemburgo e le pianure ventose della Pomerania. Il cancro più oscuro dei tedeschi, quello del nazionalsocialismo, si sta reincarnando nei contadini «eco-nazi» e neo-artamani, skinhead e «nipster» (nazi hipster), ammogliati e con figli che colonizzano scientificamente aree sempre più ampie della Germania dimenticata. Lontano dalle città, nelle campagne sperdute del Nord o dell’Est svuotate dalla caduta del Muro, la feccia bruna tende ad aggregarsi, a comprare terreni e case negli stessi villaggi, nelle stesse campagne. Sono pochi, ormai, a resistere a quest’invasione. I Lohmeyers, ad esempio. Ma la loro oasi di democrazia in un villaggio ormai del tutto «nazificato», Jamel, è sempre più a rischio.
Il culto di Adolf
Jamel è entrato nel radar dei nazi una quindicina di anni fa. In questo tranquillo villaggio di quaranta anime a sud di Schwerin è nato e cresciuto un noto naziskin tedesco, Sven Krueger. Esponente degli Hammerskin, pregiudicato, eletto consigliere comunale a Wismar nel partito di estrema destra Npd, ha cominciato a comprare le fattorie intorno alla sua, a invitare i sodali neonazisti a prendere quelle che si liberavano, a cacciare da Jamel chiunque non abbia il culto di Adolf. All’ingresso del villaggio, un cartello indica la distanza da Braunau am Inn, il paese natale di Hitler. Di fronte, un enorme murale copre il lato intero di una casa: rappresenta una famiglia bionda, sorridente, i nazionalsocialisti avrebbero detto «ariana». La scritta è in caratteri gotici: «Comunità di Jamel, libera, sociale, nazionale». 
Dall’altro lato della strada, la fattoria di Krueger. Quando proviamo a fotografare la scritta all’ingresso – «meglio morti che schiavi» – il naziskin esce come una furia dalla porta di casa urlando di smetterla. Eccitati dalle urla, una mezza dozzina di cani cominciano a sbattere contro i recinti delle case vicine abbaiando come ossessi. Krueger non vuole parlare con noi – «non parlo con la stampa» – ma ci intima di allontanarci, più o meno a venti centimetri dalla nostra faccia. Nell’aria, la puzza tremenda dell’immondizia incendiata in alcuni cortili, all’aperto. I neonazisti non riconoscono la Repubblica federale, quindi rifiutano la raccolta dei rifiuti. Preferiscono vivere come barbari che mettere un bidone all’ingresso.
I servizi in allarme
Ci incamminiamo sull’unica stradina di Jamel, dove incontriamo due bambini in mimetica che stanno portando a spasso un pitbull. Sono abbastanza indottrinati da non voler scambiare mezza parola con noi. Ripetono solo, meccanicamente, «non fotografate le nostre case». Se il fenomeno strisciante, ma esplicito delle «voelkische Siedlungen», allarma da tempo i servizi segreti e le organizzazioni antinaziste come la fondazione Antonio Amadeu è anche per il destino dei bambini. Isolati e cresciuti secondo l’ideologia nazionalsocialista, passano le vacanze nei campeggi modello gioventù hitleriana e il tempo libero alle feste di paese nazi, come racconta nei suoi libri un’attenta studiosa del fenomeno, Andrea Roepke. Persino in molte scuole di queste lande bellissime, ma finite in un cono d’ombra, dopo la caduta del Muro, si fa finta di nulla.
Birgit Lohmeyer ne sa qualcosa. Abita in fondo al villaggio, insieme al compagno Horst e undici gatti. «Abbiamo provato a donare soldi alle scuole dei paesi qui intorno, perché promuovessero corsi sull’estremismo di destra: nessuno li ha voluti», ci racconta. Nel 2003 i due amburghesi sono venuti ad abitare a Jamel, ma il loro sogno di una vita in campagna si è trasformato in un incubo, man mano che i vecchi contadini morivano o, disgustati dal vicinato, si trasferivano. Adesso la coppia di artisti è circondata da «coloni hitleriani» che non si limitano a guardarli male. «Per anni ci hanno insultati per strada, inseguiti in macchina, hanno tentato di farci andare fuori strada, hanno bucato le ruote delle nostre macchine. Tentano continuamente di terrorizzarci, di farci andare via», racconta Horst. 
«Abbiamo paura»
I Lohmeyer resistono. Hanno vinto vari premi per il loro coraggio civile. Horst si stringe nelle spalle: «Se ho paura? Certo! Sarei un idiota, se non avessi paura». Dal 2007 organizzano un concerto antinazista nell’enorme giardino. All’ultimo sono venuti anche i Toten Hosen, un leggendario gruppo punkrock, dopo che una notizia inquietante era uscita sui giornali. Una notte dell’estate scorsa, qualcuno ha dato fuoco al fienile dei Lohmeyer. Dista pochi metri loro dalla casa. Poteva finire in una tragedia, e loro lo sanno. «Da allora non riesco più a scrivere i miei romanzi polizieschi», ammette Birgit. Poi aggiunge, tutto d’un fiato, «abbiamo paura, ma non ce ne andiamo, non l’avranno vinta». Un gatto salta in grembo a Horst. Il rumore ipnotico delle sue fusa è coperto dal latrato furioso dei cani che penetra dalle finestre. E col buio, arrivano i brividi.