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 2015  dicembre 14 Lunedì calendario

A che punto è la lotta al caporalato

Ricordate in estate, puntuale come il solleone, la tragedia dei morti nei campi e la polemica sul caporalato? «Piaga sociale che deve essere eradicata definitivamente», ha ammonito il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Quest’anno poi, a fare più scalpore era stato il caso di Paola Clemente, la bracciante pugliese di 49 anni, morta mentre nelle campagne di Andria era impegnata nell’acinellatura dell’uva. Lo sfruttamento della manodopera, che secondo le stime tocca 400 mila lavoratori e spesso è gestito dalla criminalità organizzata, si estendeva dunque agli italiani. 
Si mobilitarono tutti: sindacati, governo, associazioni imprenditoriali. Venne così lanciata l’idea del bollino etico per le aziende, un sistema di certificazione che attestasse l’essere in regola con le leggi e i contratti di lavoro, dando attuazione a quanto previsto dal decreto legge competitività del 2014. Una garanzia insomma di trovarsi di fronte a un’impresa non sospettabile di utilizzare manodopera in nero o clandestina e tantomeno di ricorrere ai caporali che la forniscono. Un’azienda pulita. Ma dopo tre mesi il risultato è deludente, almeno se commisurato alle attese e alla mobilitazione iniziale. Al 3 dicembre, solo 669 aziende hanno chiesto la certificazione e appena 207 l’hanno ottenuta. 
«Per la prima volta in Italia – annunciava il 19 agosto il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina – si istituisce un sistema pubblico di certificazione etica del lavoro. Il certificato di qualità attesterà il percorso delle verifiche effettuate, individuando e valorizzando le aziende virtuose». Pochi giorni dopo l’Inps annunciava la nascita della «Rete del lavoro agricolo di qualità». Dal primo settembre, spiegava l’istituto di previdenza, «è possibile presentare le istanze di adesione alla Rete» accedendo al sito dello stesso Inps. 
Nel modulo online bisogna dichiarare le generalità del titolare dell’impresa e attestare di non aver riportato condanne penali in materia di lavoro, legislazione sociale e di imposte; di non aver subito sanzioni amministrative negli ultimi tre anni e di essere in regola con i contributi Inps e Inail. Le domande «saranno esaminate» e «deliberate entro 30 giorni». Verificato il possesso dei requisiti, l’azienda entra nella Rete e «riceve il certificato che ne attesta la qualità». 
Che cosa è successo dal primo settembre al 3 dicembre? Secondo i dati dello stesso Inps, sono state presentate 669 domande. Quelle ammesse sono 207, 12 quelle respinte, 399 quelle «in attesa di documentazione» e 51 quelle sottoposte ad «ulteriore valutazione». A settembre sono state presentate 230 domande, a ottobre 233 a novembre 192 e 14 nei primi tre giorni di dicembre. Non c’è stata quindi la corsa al bollino anticaporalato. Le imprese agricole in Italia sono quasi un milione e mezzo. Ma tenendo conto che la stragrande maggioranza sono piccolissime e che l’iniziativa è rivolta in particolare alle aziende produttrici (cioè le prime della filiera, quelle dove si coltiva e raccoglie), l’Inps stima una platea potenziale di 200mila imprese interessate alla Rete. Al momento, dunque, appena una su mille vi è entrata. 
Uno dei primi imprenditori ad aderire alla Rete è stato Giorgio Mercuri, a capo di una cooperativa agricola nel foggiano che, spiega, fattura 10 milioni, vendendo il 40% del prodotto (ortofrutta) in Italia e il 60% all’estero, e impiega più di 200 lavoratori stagionali. Mercuri è anche presidente di Fedagri-Confcooperative, associazione che rappresenta 3.300 cooperative, con circa 430.000 soci e un fatturato complessivo di 28 miliardi. «Per me – dice – è stato naturale aderire. Ho sempre fatto tutto in regola e questo bollino di qualità mi è sembrato una grande idea». Nessuna difficoltà burocratica, racconta Mercuri: «La domanda si fa online e poi l’Inps controlla. Mi chiedo solo se poi questi controlli verranno fatti tutti gli anni o no». Ma questo dubbio sembra secondario, se le adesioni alla Rete resteranno così basse. Secondo Mercuri, le spiegazioni sono molte: «Come sempre, passato il clamore della cronaca, la spinta si è allentata. Comunque, il motivo principale è che se non c’è una richiesta da parte della distribuzione non se ne esce». In che senso? «Le faccio un esempio. Quando noi vendiamo a imprese del Nord Europa o della Svizzera, queste non ritirano il prodotto se non dimostriamo che lavoriamo in regola e sono disposte a pagarlo per questo un po’ di più. Per me, quindi, il bollino di qualità è un biglietto da visita sull’estero. Da noi, invece, la grande distribuzione da una parte ha inviato una circolare ai fornitori invitandoli ad iscriversi alla Rete ma dall’altra continua ad acquistare il prodotto fresco a chi offre di meno. Insomma, se non c’è una domanda a monte, molti non hanno motivo di chiedere il bollino». Basterebbe allora che dicessero ai fornitori «se non hai il bollino, non ritiro la tua merce»? «Certo, ma temo che perderebbero il 30% dei fornitori e dovrebbero pagare di più». 
Non resta che sperare nello schema di disegno di legge contro il caporalato approvato in Consiglio dei ministri il 13 novembre: 9 articoli che prevedono, tra l’altro, arresto in flagranza di reato, confisca dei beni e rafforzamento dei compiti di monitoraggio della Rete. L’adesione alla stessa, però, precisa la relazione al ddl, resta «meramente facoltativa».