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 2015  dicembre 14 Lunedì calendario

Il parterre delle mille Leopolde in una

«Abbiamo rovesciato il sistema politico più ge-ron-to-cra-ti-co d’Europa!», grida Renzi chiamando la folla all’ovazione: nelle prime file applaude Franco Bassanini, 75 anni, cinque volte eletto alla Camera, due al Senato, sette tra commissioni e giunte parlamentari alle spalle, ex ministro, fondatore di un’importante rete con Giuliano Amato, ultima carica: presidente della Cassa depositi e prestiti, oggi tra i consiglieri economici di Palazzo Chigi.
Verità e narrazione sono binari paralleli alle Leopolda; incidentalmente possono anche coincidere, ma non è questo il fine, e se Renzi, nei 69 minuti in cui parla, annuncia tra l’altro «l’anno prossimo faremo mille Leopolde in tutte le città», mille Leopolde ce ne sono già in questa, contraddittorie, piene di passione, ma anche reticenti, o troppo gridate. «Non ci avrete! Non ci avrà chi sfoga con allusioni e retroscena le proprie frustrazioni personali», ha urlato il Capo dal palco, il giorno dopo aver additato i titoli dei giornali, soprattutto Il Fatto. Uscivi dalla Leopolda e fuori regalavano anche copie del Fatto (e vagonate dell’Unità). 
Alle undici di mattina passeggiava nella navata laterale, affabile e disponibile, un altro pezzo del rinnovamento: Giovanni Malagò. È un ottimo amico di Renzi, cosa pensa delle critiche di Saviano e del conflitto d’interessi della Boschi? «Non voglio essere un tuttologo, che interviene su sfere non di sua competenza; certo una mia idea ce l’ho, sui conflitti d’interesse, ve la direi anche, da privato cittadino, ma non qui...». Insomma, Malagò non si carica sulle spalle una difesa tout court della Boschi. Si candiderà a Roma? «Nooo, sono assolutamente indisponibile».
Taglio, scena terza. Tra la piccola navata di destra riservata ai giornalisti e il sottopalco c’è Roberto Giachetti che chiacchiera con Gaia Tortora. È vero che sarà lui a finire candidato a Roma? Giachetti mima un calcio, come a dire che è l’ultima cosa che vorrebbe, «già solo qui ci sono almeno sei candidati in pectore. Sai cosa? Io sarei tentato di vedere cosa succederebbe se vincessero i grillini, per loro sarebbe il disastro, un anno dopo, alle politiche, sarebbero finiti». Scena quarta, subito dopo, Cristiana Alicata, una delle renziane vere della prima ora, da sempre critica assai col Pd romano: «Se Matteo sceglie Giachetti è un problema. Non per Giachetti, che è un ottimo nome; ma prova a chiedere ai romani che sono qui e guarda cosa ti dicono di una candidatura imposta così, dall’alto». 
Renzi ha contrattaccato e «marcato» in qualche modo Saviano, ma per farlo ha dovuto urlare, troppo, e scoperchiare ciò che peraltro era evidente, le mille Leopolde sono già qui, difficoltà, imbarazzi, ombre, ambizioni, dissimulazioni, speranze accanto a servilismi e navigatissimi opportunismi, tendenti a debordare come le omissioni. La miglior difesa è l’attacco, diceva Arrigo Sacchi, e Renzi attacca, a differenza di Boschi, «il tempo e la verità sono dalla nostra parte», ma anche lui non risponde sul tema del conflitto d’interessi, o meglio, risponde negando tutto, che è però, allo stesso tempo, un negare troppo. Si nega meglio quando si ammette qualcosa.
Mai come ieri, alla Leopolda, era difficile muoversi nel sottopalco, tra le due navate laterali lo staff non faceva davvero passare, con quell’attacco ai giornali in corso era meglio assicurarsi fisicamente che i giornalisti non facessero LA domanda, a Padoan, o al premier. Restavano le scene di una rilassatezza non più corrispondente pienamente al suo senso, il povero Padoan senza cravatta e in scarpe a suola morbida che, alla fine del finto question time, doveva fare lo spiritoso coi ragazzi che gli hanno posto tenere domande, «ho superato l’esame?», o Ale Moretti che selfava con Alessia Morani, o la figlia di Scopelliti, la giovane Rosanna, deputata Ncd, inviata di Alfano, che passeggiava felice nel partito della nazione, «mi hanno invitato...». C’era pure Edoardo Bennato – non più Jovanotti ma Bennato – che sottobraccio a Oscar Farinetti provava a scherzare, «mi ha mandato Pippo Civati», “un giorno credi di esser giusto/ e di essere un grande uomo/ in un altro ti svegli e devi/ cominciare da zero”, silenzioso memento per il Renzi di #Leopolda6.