Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 14 Lunedì calendario

Mettere i giornalisti alla gogna è segno di debolezza. Letterina al premier Renzi

Ne abbiamo viste tante, ma un concorso indetto dal presidente del Consiglio per votare il titolo più bugiardo dell’anno ci mancava. Eravamo rimasti ai sondaggi indetti sul blog da Beppe Grillo, il peggior giornalista televisivo italiano era risultato Bruno Vespa, o alla rubrica del medesimo blog che di tanto in tanto individuava il «giornalista del giorno», e lo offriva alla lapidazione online degli attivisti a cinque stelle; ma Beppe Grillo non è a Palazzo Chigi, è all’opposizione e la differenza non è sottile, e poi non si pretende che un ex comico, agli esordi nella carriera di statista o ideologo, conosca subito nel dettaglio le regole del gioco. Eravamo invece certi le conoscesse un leader giovane ma già di lunga carriera come Matteo Renzi: un capo di governo, per il ruolo che occupa e per il potere che esercita, ignora le critiche della stampa anche se le considera canagliesche. A maggior ragione se le critiche arrivano da giornali, nel caso Libero e il Fatto, dichiaratamente ostili alle idee e ai metodi del premier: la cronaca politica con il bollino di palazzo non è ancora prevista in democrazia, almeno non ufficialmente.
Questa non è una difesa d’ufficio della categoria. Che il giornalismo italiano non sia un granché lo sapevamo prima di rivedere le pagine elencate alla Leopolda. È pieno di guasti e di miserie come lo sono la politica o l’imprenditoria, o qualsiasi settore della nostra vita pubblica, e Libero e il Fatto non detengono l’esclusiva dell’infezione: quei titoli erano senz’altro molto discutibili, e spesso parranno discutibili i nostri. Ma Renzi dovrebbe sapere o qualcuno gli dovrebbe dire quale effetto faccia un’iniziativa del genere, promossa dall’uomo più potente del paese, e per di più nel corso di una kermesse – la sesta Leopolda – che pare avere smarrito la freschezza degli anni scorsi. Una riunione né di partito né di corrente, piuttosto il ballo di fine anno del consiglio dei ministri, autoreferenziale, senza contraddittorio, con question time imbarazzanti in cui nessuno chiede o può chiedere a Maria Elena Boschi della faccende bancarie in cui è coinvolta la sua famiglia. Tutto perfetto, tranne certi titoli mascalzoni. Non pare una gran colpo di genio.
Magari non erano così creativi, ma tanti predecessori di Renzi hanno avuto il medesimo atteggiamento di fastidio e fino all’aperto disprezzo. E qui abbiamo l’ultima riflessione da suggerire al premier: quando Bettino Craxi o Silvio Berlusconi o Massimo D’Alema hanno cominciato ad attribuire alla stampa la colpa delle loro difficoltà, quello era il preciso momento in cui cominciava il declino, in cui si scoprivano incapaci di controllare la situazione, di rilanciare davanti alle difficoltà, e non trovavano altro sollievo che denunciare la mascalzonaggine dei giornali. Non che avessero torto, non sempre perlomeno. Soltanto che il problema non erano i giornali, come non lo erano fino al giorno prima, ma loro non erano più in grado di capirlo.