Corriere della Sera, 14 dicembre 2015
Marine Le Pen è battuta, ma l’Europa e la Francia non si libereranno facilmente di lei
Quattro milioni di francesi alle urne in più rispetto al primo turno; e la famiglia Le Pen è battuta. «Ci sono vittorie senza gloria e sconfitte gloriose» sibila Marine, furibonda. Per sconfiggerla si sono dovuti alleare tutti contro di lei e sua nipote Marion: a Nord la sinistra vota compatta per un ex ministro di Sarkozy, a Sud per il detestato sindaco di Nizza. L’avanzata dell’estrema destra resta clamorosa; ma il «sussulto repubblicano» c’è stato. Marine Le Pen guida il primo partito di Francia, ma oggi non avrebbe chances di diventare capo dello Stato. E questo crea una tensione – lei dice «un’ingiustizia» – che da qui alle Presidenziali del maggio 2017 scaverà una distanza ancora più ampia tra le élites parigine e una parte del popolo.
Il primo a parlare nella notte francese è Xavier Bertrand, l’ex ministro di destra che ha sconfitto Marine Le Pen con i voti di sinistra. «Ringrazio gli elettori della Gauche» dice tra gli applausi dei suoi. Poi si rivolge a Hollande: «Si muova, faccia le riforme, perché questa è la nostra ultima chance. Altrimenti...».
Altrimenti rischierebbe davvero di vincere questa signora bionda, che appare furiosa dietro al sorriso di sfida. Marine interviene da Hénin-Beaumont, il paese governato dal Front National dove domenica scorsa aveva festeggiato la grande avanzata. Stanotte ringrazia «i patrioti coraggiosi che hanno resistito alle manipolazioni di un regime in agonia». Parla di deriva, di pericolo, di prospettive inquietanti: ce l’ha con il premier Valls, che ha evocato il rischio di guerra civile. Marine denuncia «un’indecente campagna di calunnie, concepita nelle stanze del potere ed eseguita servilmente». E spiega quale sarà la tattica dei prossimi diciotto mesi: il Front National sarà l’unica opposizione; la partita alle Presidenziali non sarà tra destra e sinistra, ma «tra mondialisti e patrioti», tra coloro che intendono sciogliere la Francia «nel grande magma globale» e coloro che vogliono difendere la nazione come «spazio protettivo per i francesi». Da una parte «la Francia eterna e fraterna», dall’altra un’alleanza mostruosa tra vecchio establishment, politici ladri, banchieri usurai, imprenditori che delocalizzano, migranti di ogni fede ma soprattutto musulmani. È un’immagine ingannatrice, il «sussulto repubblicano» è stato chiesto da personalità del mondo cattolico, da industriali che investono il patrimonio personale nell’azienda; ma la folla risponde con un ruggito e si impegna a creare «migliaia di comitati Bleu Marine, sino alla vittoria finale».
Grida al vento? Non proprio. Il clan Le Pen può rivendicare di aver «sradicato i socialisti» da una regione dove governavano da sempre. Domenica scorsa, nella sera del crollo, Valls aveva taciuto. Stasera la sinistra si riaffaccia: in Bretagna è rieletto il ministro della Difesa Jean-Yves Le Drian, il Ps tiene altre quattro regioni ma perde l’Île de France, vale a dire Parigi e la cintura. Valls inizia parlando d’altro: gli attacchi dei terroristi, la reazione nazionale, la «fierezza di essere francesi». Ringrazia gli elettori che hanno accolto l’appello a fare muro contro il Front National. Avverte che «il pericolo dell’estrema destra non è finito». Chiude parlando dell’accordo sul clima al vertice di Parigi. È stato il gioco di Hollande in questi giorni: chiamarsi fuori dalla battaglia elettorale, disegnare per sé un profilo da statista, al di sopra delle parti. In realtà, il presidente ha bisogno di drammatizzare la situazione. Con questi rapporti di forza, non arriverebbe al ballottaggio per l’Eliseo. Hollande ha necessità di essere l’unico candidato di sinistra in campo: una prospettiva che gli ecologisti potrebbero accettare, ma che il Front de Gauche esclude. Nessuno ovviamente lo riconosce, però una vittoria di Marine Le Pen avrebbe fatto il gioco del capo dello Stato. In ogni caso, i socialisti manterranno alta la tensione, proprio come farà l’estrema destra: le due tattiche coincidono. Una sinergia che la destra repubblicana denuncia dai tempi di Mitterrand.
Sarkozy parla in contemporanea con Valls. È agitato, nervoso, pieno di tic più ancora del solito. Invita a «non dimenticare gli avvertimenti del primo turno», a «non fare finta che i francesi non ci abbiano detto nulla». È quanto ripete da giorni nelle conversazioni private: «Io caccerò dal partito chiunque stringerà accordi con il Front National. Ma il Paese è a destra. Rendiamocene conto: la via del centro è chiusa». Sarkozy ha ancora una forte presa sul partito, ma ha troppi guai giudiziari e troppi nemici interni. Lo stanno abbandonando anche il suo ex premier François Fillon e la sua ex portavoce Nathalie Kosciusko-Morizet. Il vero rivale è l’eterno Alain Juppé, meno sgradito alla maggioranza dei francesi; ma Sarkozy resta una macchina da campagna elettorale. Le primarie saranno una battaglia durissima. Che l’asse del Paese si sia spostato a destra non lo indica solo l’ascesa del Front: a Lione governerà Laurent Wauquiez, il repubblicano che ha proposto una Guantánamo francese (cui il governo sta pensando sul serio). Le sue prime parole da presidente dell’Alvernia-Rodano-Alpi: «Facciamola finita con il comunitarismo, salviamo l’identità francese».
Marine Le Pen è battuta, ma le sue idee restano al centro della discussione. La Francia e l’Europa non se ne libereranno facilmente. Anche perché il terrorismo è ormai un attore sulla scena politica. In Place de la République gli spazzini portano via le candele, i pelouche, i biglietti lasciati dopo le stragi del 13 novembre, proprio un mese fa: i messaggi saranno conservati negli archivi di Parigi. Gli abitanti della rue d’Alibert e della rue Bichat, dove sono morti tredici innocenti, hanno messo ghirlande di fiori alle finestre. Negli ospedali di Parigi sono ancora ricoverati sessanta feriti, qualcuno lotta per la vita, molti non cammineranno più. Carole Damani e gli psicologi da lei guidati hanno in cura 800 persone traumatizzate. I giornali sono pieni di reportage dalla portaerei Charles de Gaulle, da cui decollano i bombardieri per la Siria. Mancano pochi giorni alle manifestazioni per i vent’anni dalla morte di Mitterrand. In cima ai sondaggi di popolarità è l’ex presidente Chirac, la cui mente evapora nel bell’appartamento sulla Senna. E proprio non si vede all’orizzonte un leader capace di ripetere le parole di Schuman: «Noi non siamo, non saremo mai negatori della patria, dimentichi dei doveri che abbiamo verso di lei. Ma al di sopra di ogni patria noi riconosciamo sempre più distintamente l’esistenza di un bene comune, superiore all’interesse nazionale: un bene comune in cui si fondono e si confondono gli interessi individuali dei nostri Paesi».