Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 13 Domenica calendario

C’è una quinta banca da salvare. Si chiama Tercas, sta a Teramo

MILANO Salvare la quinta banca con 300 milioni. È la mission della prossima settimana del sistema bancario italiano. Ai quattro istituti di credito ai quali lo scorso 22 novembre è stato evitato il crac – Banca Marche, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio della provincia di Chieti – se ne deve infatti aggiungere un quinto, la Banca Tercas di Teramo (che controlla pescarese Caripe). L’istituto abruzzese, anch’esso commissariato (dal maggio 2012 con commissario Riccardo Sora, poi dirottato su CariChieti), non si è aggiunto al poker di banche di cui si parla da tre settimane solo perché nel luglio del 2014 venne salvato dalla Banca popolare di Bari. Che, però, per quel salvataggio si avvalse di circa 300 milioni del Fondo Interbancario di tutela dei depositi (265 milioni come contributo alla copertura del deficit patrimoniale; 35 milioni in garanzia a fronte del rischio relativo a crediti derivanti da finanziamenti erogati; impegno fino a un massimo di 30 milioni per la copertura parziale di un ulteriore deficit) che rappresentavano un contributo obbligatorio del sistema bancario che adesso deve essere trasformato in volontario per evitare che Bruxelles lo consideri un aiuto di Stato.
Il «braccio volontario» – secondo la definizione data dal presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi Salvatore Maccarone – si sarebbe dovuto costituire entro il 10 dicembre. E a quella data era stato raggiunto poco più del 50% delle adesioni. «La scadenza è stata prorogata alla fine della prossima settimana – spiega Maccarone – per consentire alle banche i passaggi necessari nei consigli di amministrazione nei tempi programmati». Per Maccarone, quindi, l’operazione andrà in porto. Ma occorrerà che si verifichino due condizioni. Da una parte lo schema volontario può costituirsi se aderisce il 90% delle banche consorziate aventi depositi protetti, rappresentanti almeno il 95% del totale degli stessi depositi; dall’altra che ci sia la certezza del trattamento fiscale del meccanismo volontario e che ne garantisca la sostanziale neutralità rispetto al sistema obbligatorio attraverso un intervento normativo che preveda la deducibilità fiscale dei costi connessi alle contribuzioni, agli interventi e al funzionamento dello schema volontario. E il trattamento fiscale dei contributi volontari è previsto in un emendamento della legge di Stabilità presentato proprio ieri. In tal modo l’intervento del sistema bancario non comporterà oneri aggiuntivi, perché i fondi sono stati già versati, e si tratterà di completare una «partita di giro»: restituzione al fondo obbligatorio dell’importo ricevuto e riattribuzione volontaria a Tercas. Salvaguardando così anche la Popolare di Bari dal rischio di perdere i 300 milioni ottenuti un anno e mezzo fa dal Fondo Interbancario di tutela dei depositi.
Un intervento alla luce del quale si accesero i riflettori della Ue per possibili aiuti statali, con un’istruttoria aperta nel febbraio 2015 nei confronti della Repubblica italiana proprio per presunta violazione della disciplina sugli aiuti di Stato. Secondo la Commissione europea, infatti, le contribuzioni obbligatorie possono essere considerate risorse statali e la decisione relativa all’utilizzo delle risorse è imputabile allo Stato. Ovviamente, nei mesi scorsi, sia lo Stato italiano che il Fondo Interbancario di tutela dei depositi (oltre che Popolare di Bari e Tercas) hanno contestato tale impostazione perché l’intervento del Fondo non è imputabile allo Stato, né sono state utilizzate risorse pubbliche. Ma la decisione della Commissione, ancorché non assunta formalmente, sembra orientarsi nel senso di ritenere l’intervento come aiuto di Stato non compatibile. Da qui la necessità di trasformare l’intervento da obbligatorio a volontario per portare a compimento il salvataggio di Tercas, istituto da circa 3 miliardi di raccolta e impieghi destinato a integrarsi nel gruppo della Popolare di Bari da 14 miliardi di impieghi e 400 sportelli complessivi. Per la Banca Popolare di Bari – istituto guidato dal presidente Marco Jacobini, figlio di Luigi (fondatore, nel ’49, della Cassa di Risparmio di Puglia e, nel ’60, della Popolare di Bari) – si tratta della ventesima acquisizione dal 1989: una dopo l’altra sono finite sotto il controllo dell’istituto barese, tra le altre, la Popolare della Penisola Sorrentina, la Popolare di Calabria, la Banca Mediterranea e, 19esima acquisizione, la Cassa di Risparmio di Orvieto rilevata nel 2008 da SanPaolo Imi. Una crescita che ha fatto rientrare la Popolare di Bari – unica al Sud – tra i dieci istituti con attivi superiori a 8 miliardi soggetti alla riforma decisa dal governo Renzi che prevede la trasformazione in società per azioni e l’abolizione del voto capitario. Adesso, però, c’è da chiudere il capitolo Tercas.