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 2015  dicembre 12 Sabato calendario

Ritratto di Tito Boeri, gran testardo

È giunto al punto, Tito Boeri, che alcune associazioni di categoria gli hanno intimato di finirla di fare mobbing sui pensionati. Secondo gli analisti, i continui interventi del presidente dell’Inps contro le pensioni medio alte da ridurre in favore delle medio basse, ha messo in lotta vecchietti delle opposte fazioni e tolto il sonno a chi ha da perdere. In più, ha spinto figli e nipoti contro genitori e nonni, pronosticando ai giovani una vecchiaia senza il becco di un quattrino. Lo sconquasso provocato è per Boeri motivo di grande soddisfazione. L’uomo ha un fondo dispettoso. Gli piace fare parlare di sé a costo dell’impopolarità. In questo caso poi, la sua è una battaglia di verità poiché di fatto la coperta dell’Inps è troppo corta. Non tanto perché sui bilanci pesino i pensionati medio alti che hanno pagato cospicui contributi. Ma per la tara delle pensioni basse, oltre quindici milioni, i cui titolari non hanno in genere versato nulla. Questo, però, Boeri non lo dirà mai perché è politicamente scorretto. Boeri, infatti, è uomo di sinistra. Rigorosamente di sinistra, come tutti i Boeri da almeno tre generazioni. Nonostante il cognome evochi l’origine rurale -Boeri viene da bove, bovaro, ecc.-, la famiglia storica appartiene alla migliore borghesia meneghina fin dal capostipite, Giovan Battista, nonno del presidente Inps. Questo glorioso antenato fu antifascista e tra i fondatori del Partito d’Azione. Legato a Ugo La Malfa, divenne senatore del Pri nella prima legislatura repubblicana. Addirittura capo partigiano fu il figlio Renato che, deposte le armi, sposò Cini, compagna di ideali e iscritta al Pci. Testimone dei nubendi fu, nientemeno, che Ferruccio Parri, figura leggendaria della resistenza col nome di Maurizio e per qualche mese, nel 1945, Presidente nel Consiglio. Dalla coppia, nacquero tre figli. Nell’ordine: Sandro, giornalista; Stefano, architetto; Tito, il nostro Tito. L’INFANZIA I tre ragazzi furono cresciuti dalla mamma. I coniugi Boeri presero infatti strade diverse nel 1965, quando Tito aveva appena sette anni. Renato proseguì una brillante carriera di neurologo e direttore dell’Istituto Besta, risposandosi anni dopo. Cini Boeri divenne un’osannata designer, scrisse la propria autobiografia ed è, con Gae Aulenti, la donna architetto contemporanea più famosa d’Italia. Dei figli di cui Cini fu la chioccia, Tito, il minore, è quello che le dette qualche preoccupazione in più. I tre fratelli erano simili. Ribelli nella norma, gauchisti, occupatori di aule e aderenti al Movimento studentesco. Questo casino cessava però al rientro in casa. Qui, c’era la servitù e il maggiordomo in guanti bianchi che serviva a tavola. I due maggiori imboccarono subito le loro strade, diventando punti di riferimento nei rispettivi ambienti. Il giornalista, Sandro, è stato fondatore e direttore di Focus, versione italiana. Stefano, titolare di un studio chic di architetti, è da tempo una stella della sinistra milanese al punto che il Pd lo candidò sindaco nel 2011, preferendolo a Giuliano Pisapia (che, però, poi vinse le primarie). IL CONFRONTO Di fronte ai due grandi, Tito si sentì il brutto anatroccolo. Era come loro studioso e brillante ma più meditativo e appartato. Faceva di testa sua, come adesso all’Inps dove mette a dura prova le coronarie dei pensionati e soffia sui rancori sociali evocando le lotte tra ricchi e poveri, giovani e vecchi. Fu la mamma, signora Cini, a definirlo con lucida esattezza: «Buono ma crapone». Ossia, testone, mulo, zuccone. Un giudizio -riportato dalla massima biografa dei Boeri, la giornalista Elisabetta Burba -che facciamo nostro. Tito, fedele all’uso familiare di primeggiare, si laureò in Economia alla Bocconi, per trasferirsi poi negli Usa e ottenere un PhD alla New York University. Già questo gli dava un curriculum speciale, con effetto moltiplicatore sull’autostima. Ma a confermargli la sua unicità, fu l’assunzione appena ventinovenne all’Ocse, l’esclusivo ufficio internazionale di studi economici di Parigi. A parte che ha una sede di sogno -il Château de la Muette- e che ci finiscono solo futuri leader (il nostro Pier Carlo Padoan, per dirne uno), quello che ti fa sentire un figo da quel pulpito è che predichi il rigore per gli altri ma sul tuo stipendio non paghi un euro di imposte. Né a Parigi, né a Roma. Dopo un decennio di questa esaltante esperienza, tornato a insegnare alla Bocconi (Economia del lavoro), Tito si aspettava un serrato corteggiamento politico. Non si fece vivo nessuno e il complesso verso i fratelli che filavano come treni, si riaffacciò. Siamo a cavallo del Millennio, quando la crisi era ancora lontana e gli economisti parevano inutili. Guardandosi attorno, Tito si accorse che i suoi colleghi avevano la stessa frustrazione. Volevano spazio sui giornali e in tv ma nessuno gli dava retta. Ebbe allora un’idea felice: dare un pulpito a questi sfaccendati di lusso, diventandone il capofila. Pensò al web, che era agli esordi, e fondò nel 2002 lavoce.info, giornale internettiano. Fu la palestra e lo sfogo di tanti professorini che giornaloni e tv ignoravano. La crisi scese poi come una manna e chi si era messo in vista su internet si trovò con inviti in tv e una rubrica sui quotidiani. Lo stesso Boeri divenne subitaneamente famoso nel 2005 quando, ospite di Raitre, battibeccò con l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Piacquero la parlantina saccente e gli ampi gesti imbonitori e fu subito conteso dai talk show. A questo punto si ricordarono di lui, Valter Veltroni che lo fece suo ghostwriter e Carlo De Benedetti, che già lo conosceva per ragioni di mondanità meneghina ma che ebbe un possente ritorno di fiamma. Era fatta. Crapone, entrato nelle grazie, fu assunto da Repubblica come editorialista e cooptato come direttore nella Fondazione Rodolfo Debenedetti, padre dell’Ingegnere. IL SUGGERITORE Siamo così tornati all’oggi. Secondo voci, sarebbe stato appunto De Benedetti a suggerire a Matteo Renzi di ficcare il suo pupillo all’Inps, cosa avvenuta il 24 dicembre 2014. Tito scalpitava per un incarico pubblico ma pensava a qualcosa di più politico. L’Inps, nonostante amministri il 40 per cento del bilancio dello Stato, gli sta stretto. Il ruolo è burocratico e sottostà alla vigilanza del ministro del Lavoro. Nel caso specifico, Giuliano Poletti, che di Boeri è l’opposto antropologico: perito agrario, una vita nella Legacoop, appassionato di Pallamano. «Pallamano! ma si può?», si è chiesto Tito e decise che uno con tali gusti andava ignorato. Poletti, che agli snob di sinistra farebbe impastare ceramiche a Faenza, c’è andato a nozze. Così, i due non si parlano da mesi e l’Inps si è eretta repubblica a sé. Boeri, libero di agire, fa quello che sa fare: il teorico. Invece di amministrare, agita le acque elucubrando sul giusto, l’ingiusto e l’equo pensionistico. Insomma, fa il Crapone. Dicono che Renzi abbia travasi di bile per il subbuglio che genera. Ma anche che sia d’accordo e lo usi come teste d’ariete per sforbiciare un domani le pensioni. E infine che Tito tiri la corda per entrare in politica, strizzando l’occhio ai grillini. Misteri da lasciare alla Pizia.