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 2015  dicembre 12 Sabato calendario

Per 15 anni ha inviato lettere di una finta amante all’ex amico. Ora la storia è finita in tribunale

L’Italia di Amici miei, di Boccaccio e della commedia, galleggia nella nostra provincia come un romanzo sotterraneo. Monicelli diceva che solo noi siamo così: «All’estero mi chiedono sempre, ma come fate a ridere tanto delle vostre cattiverie?». Già, come facciamo. Eppure a Treviso una grande amicizia è finita in tribunale per uno scherzo, con una richiesta danni da mezzo milione d’euro. La vittima era un compagno di baldorie: da 15 anni riceveva lettere focose e sua moglie non gli credeva più. Il regista Bobby Farrelly, quello di Tutti pazzi per Mary, sostiene che «quando fai uno scherzo e qualcuno si fa male, sei andato troppo oltre». Dice l’artigiano che riceveva le lettere, conosciutissimo in città, che ha rischiato «di divorziare. Persino i miei figli volevano sbattermi fuori». È che noi non riusciamo a non andare oltre: proprio a Treviso, poco tempo fa, hanno seminato la città di manifesti a lutto per annunciare la morte di un commerciante, vivo e vegeto, fin sotto casa sua. E due anni fa, a un matrimonio gli amici dello sposo mandarono inviti a tutte le sue amanti e fidanzate che si presentarono belle trulle alle nozze, rischiando davvero di farle saltare. Hanno ragione gli stranieri: siamo fatti così, è nella nostra tradizione. Lo scherzo, nella cronaca, è nato da noi, nel XIII secolo, quando mastro Buoncompagno da Firenze organizzò una panzana incredibile per mandare tutti i bolognesi sul monte di Santa Maria ad aspettarlo volare.
Sodale della vittima
E allora siamo quelli che dovrebbero stupirsi e arrabbiarsi di meno. L’autore della zingarata di Treviso è un commerciante del centro, settore tessile, abbigliamento e calzaturiero, sodale della vittima in tante serate di bisbocce. E dopo 15 anni, dal 1997, che gli scriveva quelle lettere anonime da amante caldissima, facendo litigare il suo amico con tutta la famiglia, fin sull’orlo della separazione, l’ha preso sottobraccio una mattina al funerale di un conoscente: «Allora, questo mese ti è arrivata la cartolina?». Ne aveva mandate 200, allargandosi a storie e intrecci pericolosi: bella fantasia. L’altro l’ha guardato incredulo: «Ma tu come fai a saperlo?». E quando quello s’è piegato in due dal ridere, è andato su tutte le furie. «Amici miei» è proprio finito male a Treviso: da 3 anni dura la causa civile per la richiesta di danni morali e materiali da mezzo milione d’euro davanti al giudice Daniela Ronzani, con una sfilza di testimoni che passano e ricordano imbarazzati altre serate di feste e goliardia. Nemmeno loro sanno spiegarsi perché sia finito tutto così. Orson Welles che organizzò nel 1938 uno scherzo alla radio inventando un’invasione di marziani che gettò l’America nel panico, ha accresciuto la sua fama dopo quello scherzo. E il telecronista brasiliano Bruno Galvao, famoso per il suo eloquio incessante, vittima ai mondiali di calcio del Sudafrica di una beffa terribile a cui aveva partecipato pure Paulo Coelho, finì col riderci sopra: mandarono messaggi in tutto il mondo invitando la gente a scrivere su twitter «Cala boca, Galvao», tappati la bocca, Galvao, spiegando che Galvao era un uccello raro che stava per morire e cala boca voleva dire salviamolo. Ci cascarono in 9 milioni. Per un telecronista è un’umiliazione mica da ridere. Perché non gli presentiamo Caressa?
Amore per la risata
Può darsi che come ripeteva Sigmund Freud «scherzando si dice anche la verità». Evidentemente, nel caso di Treviso, tendiamo ad escluderlo, anche per evitare altre conseguenze. Eppure, la rissa giudiziaria scatenata dalla beffa dimostra quasi inconsciamente un’abitudine persino naturale a convivere con situazioni come queste. Catone il censore commentava che «quelli che sono seri in questioni ridicole saranno ridicoli in questioni serie». A volte anche i più bravi di noi finiscono per cascarci. Il fatto è che l’amore per la risata nasconde più melanconia che gioia. Non siamo quello che sembriamo. E il genio della commedia italiana, Mario Monicelli, alla fine si è tolto la vita, proprio lui che ci dava lezioni di cinismo col Marchese del Grillo: «Ahò, quanno se scherza bisogna esse seri».