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 2015  dicembre 12 Sabato calendario

Usiamo ancora troppo carbone

Non è il miglior accordo possibile, ma nonostante tutti i suoi limiti l’intesa sul clima che sta per emergere dalla conferenza di Parigi è assolutamente positiva. E segna in modo definitivo lo spartiacque tra la tramontata era del carbone, del petrolio e del gas, e una nuova stagione della storia dell’umanità basata su tecnologie pulite e «low carbon». Sono praticamente concordi gli scienziati presenti nel parco delle Esposizioni di Le Bourget, alla vigilia di un accordo storico che impegnerà tutti i leader politici del pianeta ad attuare un programma di azione per molti anni sollecitato invano dalla scienza.
«Sempre ammesso che non ci siano sorprese all’ultimo minuto – commenta Hans Joachim Schellnhuber, direttore dell’autorevolissimo Potsdam Institute for Climate Impact Research – la volontà di stare “ben al di sotto” dei 2 gradi è in linea con la scienza. Ho partecipato a numerosi vertici internazionali sul clima, e un impegno di questa portata non era immaginabile. Che lo si creda o no, è sicuramente più avanzato e progressista delle versioni precedenti». Per il climatologo tedesco bisognerebbe proprio riuscire a fissare (ma sarà difficile) un aumento di soli 1,5 gradi, «che permetterebbe agli Stati insulari di evitare impatti rilevanti. Ma bisognerebbe riuscire ad arrivare entro il 2050 a una economia ad emissioni zero».
Schellnhuber sottolinea che in ogni caso il testo che sta emergendo da Parigi «lancia un chiaro segnale al mondo dell’impresa e dell’economia sul fronte del disinvestimento» dai combustibili fossili. «Viene riconosciuta la magnitudine dei rischi – puntualizza Lord Nicholas Stern, l’economista autore dell’omonimo rapporto del governo britannico – e viene riconosciuto che possiamo combinare la riduzione della povertà, lo sviluppo economico e la responsabilità climatica».
Non quantificabile
«È un peccato che non ci siano obiettivi quantificabili», analizza Sergio Castellari, per anni punto di riferimento per l’Italia nell’Ippc dell’Onu. Nella prima versione del testo c’erano, nella seconda si parla di una più generica «neutralità carbonica», ovvero che la riduzione delle emissioni si può ottenere anche attraverso una serie di azioni aggiuntive (riforestazione, cattura e sequestro, e così via, forse compresa anche la temutissima geoingegneria). «Come scienziato sarei stato molto felice se fosse rimasto questo tentativo di avere degli obiettivi in cifre. Ma capisco che l’approccio di questo testo, bottom-up, non li contempli». Per Johan Rockström, direttore del Stockholm Resilience Centre, sarebbe molto meglio reinserire il termine «decarbonizzazione», ovvero chiarire che bisogna «smettere di usare progressivamente le fonti fossili di energia». Rockstrom accetta anche il meccanismo degli Indc, gli obiettivi volontari nazionali di taglio delle emissioni. Ma chiede che siano rivisti ogni anno, e non ogni cinque come attualmente previsto, perché «si deve tenere il passo con la velocità e la rapidità con cui la tecnologia cambia».
Anche scetticismo
Posizione più critica è quella di Kevin Anderson, vice-direttore del Tyndall Centre di Manchester. «La retorica non servirà a tagliare le emissioni di CO2 – accusa – questo testo è debole, non si fonda su solide basi scientifiche, non considera le emissioni del comparto aereo e navale. L’unica via è arrivare a zero emissioni: entro il 2050 se vogliamo puntare a +1,5 gradi, entro il 2070 se l’obiettivo è quello dei 2 gradi». Castellari comunque osserva un punto qualificante: «l’adattamento, che emerge come un elemento centrale, che è importante poiché anche se riduciamo le emissioni molti impatti sono inevitabili. Adattare significa aumentare la resilienza, chi avrà una maggiore capacità di adattamento subirò meno questi impatti».
(Ha collaborato Emanuele Bompan)