La Stampa, 12 dicembre 2015
Quei sessanta miliardi di bond in circolo che rischiano di trasformarsi in una bomba
Avete investito anche voi in obbligazioni subordinate? Al momento di firmare il contratto con la banca sapevate cosa stavate comprando? Avete investito su un bond classificato «investment grade», e quindi sicuro, oppure avete azzardato, o magari siete stati malconsigliati, e avete puntato su titoli speculative grade, ad alto rischio?
Tolte le emissioni delle «quattro sorelle» commissariate, Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Carichieti, che in tutto hanno piazzato 30 obbligazioni, per un controvalore complessivo di quasi un miliardo di euro (879 milioni l’importo di quelle cancellate dal Salva-banche), secondo uno studio della società di analisi Consultique in tutto sono 368 le obbligazioni subordinate bancarie presenti oggi nei portafogli di investitori piccoli e grandi. In totale sono 60,9 miliardi di euro. Tutta «roba» buona, tutti prodotti che potevano essere collocati presso la clientela retail? Se si prendono come riferimento i rating e la possibilità di liquidare anzitempo l’investimento la risposta è no.
55 bond ad alto rischio
Su 368 bond, infatti, ben 286 (ovvero il 77,7%) è senza rating. Ovvero senza un giudizio sulla affidabilità di chi lo ha emesso. Sono invece 82 (22,3%) quelli a cui è stato attribuito un rating da almeno una delle agenzie specializzate (Moody’s, Standard & Poors e Fitch). Per Moody’s e S&P 82 bond hanno un rating investment grade, Fitch ne classifica a sua volta in questo modo 27. Ma ad altri 55 attribuisce un rating di grado speculativo. Prima che scoppiasse la bufera, in base ai valori ricavati dalla banca dati di Bloomberg, Matteo Trotta, analista area obbligazionaria di Consultique che ha curato questo studio, ne ha classificati 232 (63%) come «potenzialmente liquidi», che quindi consentivano di recuperare agevolmente l’investimento, e 136 «potenzialmente illiquidi». In pratica invendibili, vere trappole per i risparmiatori.
Grandi banche = solide
A scanso di equivoci tutte le banche più grandi offrono obbligazioni a cui è stato attribuito un rating «investment grade» e soprattutto negoziabili a Milano, Lussemburgo e Francoforte e su mercati come Mot o Eurotlx. A Unicredit (51 emissioni) e Intesa (26 bond) si deve circa la metà dell’importo totale di questo tipo di emissioni. Il Banco Popolare ne conta poi 13, Ubi 12, 5 Mediobanca. Il resto è fa capo a banche piccole e medie, tante le popolari e qualche pecora nera, come Montepaschi che ha piazzato 4,8 miliardi di «subordinati» ora tutti e 10 classificati ad alto rischio.
Quanti di questi bond possono essere definiti speculativi? «Non bisogna generalizzare – avverte Trotta -. Certo se si considera che un bond decennale di Intesa, Unicredit o Mediobanca, gli istituti che il mercato considera tra i più solidi, paga in media un interesse del 3,5/4,5 un risparmiatore che compra un bond della Popolare di Vicenza che rende l’8 o il 9% dovrebbe chiedersi il perché».
Lo spartiacque
Secondo Altroconsumo anche Veneto Banca e Popolare di Vicenza andrebbero inserite nel piano Salva-banche. Se fosse così finirebbero nella tagliola 7 bond emessi dalla banca vicentina (controvalore 894 milioni) e 7 della cugina trevigiana (731 milioni di controvalore, compresi 200 milioni che offrivano una cedola «d’oro» del 10%). «Far comprendere ad un risparmiatore le caratteristiche tecniche di questi prodotti ed il relativo grado di rischio – conclude Trotta – non è facile. Per decidere un investimento del genere basta però tener presente un semplice spartiacque: in caso di liquidazione della banca, storicamente, i possessori di bond subordinati non hanno mai visto un euro».