La Stampa, 12 dicembre 2015
La passione per le banche della famiglia Boschi
Il sorriso è quello di famiglia. Emanuele Boschi? «Sì sono io. E lei?». Giornalista. Anche la gentilezza del diniego è la stessa della sorella Maria Elena. Sempre sorridendo: «Conosciamo entrambi le conseguenze da qui in poi». «Qui» è la linea del cancello che demarca la proprietà privata.
A Laterina si è fatto buio da poco. Il Natale viene annunciato dagli addobbi. Il villino della famiglia Boschi lo conoscono tutti. Si trova in una ex zona industriale. Poche case, tutti vicini e molto amici. Se chiedi, tutti sono molto disponibili a mostrartela. Basta però pronunciare le parole “Banca” ed “Etruria” e tutti rispondono: «Non so nulla». Laterina conta tremila e passa abitanti. Il più famoso ad avere avuto qui i suoi natali è sempre stato Enzo Ghinazzi, in arte Pupo. Fino a un paio di anni fa. Fino a quando Maria Elena Boschi, la figlia di Pier Luigi, ha compiuto la sua ascesa al governo. Nei giorni del grande falò dei risparmi in Etruria, il ministro difende il papà con i denti: «È una persona perbene, finito sulle cronache solo perché è mio padre». È così. Pier Luigi Boschi è stato vicepresidente di Banca Etruria dal maggio 2014, tre mesi dopo l’ingresso a Palazzo Chigi della figlia. Una tempistica che ha scatenato le opposizioni per il possibile conflitto di interessi, dopo la travagliata vicenda dell’istituto, appena salvato da quello stesso governo di cui è membro Maria Elena. Un intreccio che, alla luce del suicidio del pensionato che ha visto volatilizzarsi 100 mila euro, ha portato anche lo scrittore Roberto Saviano a chiedere le dimissioni del ministro: «Sulle banche c’è un abnorme conflitto di interessi. Per molto meno abbiamo raccolto firme e siamo scesi in piazza».
Il fratello e il papà sostano di fronte alla casa su tre piani. Il signor Boschi non vuole parlare. «No guardi, non rilasciamo interviste» interviene Emanuele. Anche lui, come molti da queste parti, lavorava in Banca Etruria fino a qualche mese fa. L’insistenza non scalfisce padre e figlio. Entrano in casa, poi escono, salgono in auto e vanno via. Papà Boschi ritorna con la moglie, Stefania Agresti, già vicesindaco di Laterina. L’amore per la politica trasmessa alla figlia. Signor Boschi, solo una domanda…? Niente. L’amico e vicino, Martino, concede la solita risposta: «Non so nulla di queste cose, io curo le mie vigne». Poi aggiunge: «A me non mi hanno mica fregato».
Il Paese, insomma, si stringe intorno ai Boschi. Ma la pressione sulla ministra è destinata a crescere. Il cosiddetto “decreto-salvabanche” infatti non prevede la decadenza o la sospensione dei requisiti di onorabilità per gli organi amministrativi e di controllo delle banche in risoluzione, dal momento che la disciplina vigente sull’onorabilità degli amministratori non contempla la procedura di risoluzione. Dunque, allo stato dei fatti, un amministratore o un membro del collegio dei revisori dei conti di Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Carichieti, se anche dovesse essere ritenuto responsabile del dissesto del suo istituto, potrà comunque andare a ricoprire ruoli di vertice altrove.
Non solo. Nella legge di stabilità in esame alla Camera manca la previsione di meccanismi che consentano effettivamente a soci e creditori l’esercizio dell’azione di responsabilità, ma è piena di riferimenti al decreto legislativo 180 del 16 novembre 2015. Un testo che costituisce la “cornice normativa” nel quale si inserisce il cosiddetto “salva banche” varato dal Governo. All’articolo 35 del decreto si legge: «L’esercizio dell’azione sociale di responsabilità e di quella dei creditori sociali contro i membri degli organi amministrativi e di controllo e il direttore generale (...), spetta ai commissari speciali sentito il comitato di sorveglianza, previa autorizzazione della Banca d’Italia». Dunque, senza il benestare dei commissari, del comitato di sorveglianza e di palazzo Koch non si potrà esercitare l’azione di responsabilità.