la Repubblica, 12 dicembre 2015
I padrini mafiosi se ne fregano della moda
A i padrini mafiosi bisogna riconoscere almeno il merito di essere del tutto indifferenti alla futilità della moda. Le immagini diffuse in questi giorni potrebbero essere state girate venti o quarant’anni fa, forse anche cento: uguali le facce, i gesti, gli abbracci e i baci, identica quella vecchia e forse eterna antropologia maschile meridionale, quella ostentata deferenza a chi ti sta sopra, quella cerimoniosa, barocca affabilità. Come per dire: noi siamo così e lo saremo per sempre, niente può tangere questa maniera di vivere e di pensare, di obbedire e di comandare.
La mafia è conservazione allo stato puro. Un modello furiosamente immobile di predazione sociale organizzata in forme gerarchiche antichissime, il clan, la famiglia, il patto di sangue, il patriarca che domina, la lotta per la successione, l’infamità del tradimento, il mito dell’onore che fa da copertura alle più disonorate attività e ai più disgustosi crimini contro altri uomini. Come non siano stanchi di se stessi, questi italiani anacronistici, così poco moderni nella loro incapacità di essere cittadini tra cittadini, normali tra normali, così noiosi nella loro prevedibilità, così tenacemente immobili nella loro prepotenza e nella loro ignoranza, è un vero e proprio mistero. Forse se riuscissimo a decifrarlo davvero, quel mistero, non solamente i mafiosi (che sono una piccola fetta) ma gli italiani nel loro complesso potrebbero fare qualche passo al di fuori della loro auto-imitazione.