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 2015  dicembre 12 Sabato calendario

La Libia dopo la Siria?

La Libia dopo la Siria? La puntata dell’Is dalla roccaforte di Sirte nella duplice direzione est e ovest, verso Agedabia e Sabrata, sembrerebbe ipotizzarlo. Se sorprende relativamente la marcia verso la Cirenaica e un luogo della memoria come Agedabia, nel settimo secolo avamposto militare del Califfato del tempo, perché l’Is ha bisogno di non avere una minaccia alle spalle, l’incursione verso Tripoli e il confine tunisino, rappresenta un preoccupante sviluppo.
Perché mai i seguaci di Al Baghdadi si erano spinti così vicini alla capitale, se non per compiere incursioni e attentati; perché Sabrata è, insieme all’altra e più conosciuta città fenicia conquistata dai romani, Leptis Magna, uno dei più importanti siti archeologici del paese, riconosciuta dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Sebbene gli jihadisti reclamassero solo il rilascio di due prigionieri, ritirandosi poi dalla città, il timore è che la furia iconoclasta dei seguaci del nuovo Califfato, dopo essersi esercitata su Palmira, possa rivolgersi, in odio alla cultura preislamica e all’archeologia stigmatizzata come disciplina occidentale, contro un luogo che, oltretutto, potrebbe scontare la pesante eredità della memoria coloniale italiana. Gli scavi, infatti, furono diretti da Renato Bartoccini, sopraintendente della Tripolitania durante il regime, argomento sempre assai sensibile nell’ex Quarta Sponda.
L’offensiva in Libia, così come il consistente flusso di ritorno di
foreign fighter locali ma non solo – tra quanti sono arrivati in queste settimane vi sono tunisini, egiziani, sudanesi, yemeniti-, costretti dai massicci bombardamenti in Siria a evacuare dalla Mezzaluna fertile, potrebbe sfociare nella creazione di una sede califfale alternativa a quella di Siria e Iraq. Secondo i Pasdaran iraniani, il Califfo Nero, dopo essere stato ferito in un attacco aereo e curato in Turchia, si sarebbe già rifugiato in Libia. Notizia tutta da verificare nella guerra di propaganda che mira a delegittimare nemici e cobelligeranti di fatto. Resta il fatto che la Libia sarebbe un luogo strategicamente perfetto per lo Stato islamico, che si insedierebbe in un’area instabile e sull’orlo della disintegrazione, ricca di petrolio e attraversata da traffici criminali, da quelli umani a quelli di armi e stupefacenti, su cui lucrare pesanti dazi. Situazione ottimale per chi punta a radicare un simile potere.
Un’opzione che darebbe all’Is profondità strategica verso l’Egitto, il Medioriente e il Maghreb, oltre che verso l’Africa. Un immenso territorio da trasformare nel “cuore della terra” islamista radicale. Affacciato sul Mediterraneo e alle porte dell’Europa e di Roma, capitale simbolica del “mondo crociato”.
Insomma, anche se Tripoli o Sirte non sono Damasco, l’insediamento in Libia del Califfato non sarebbe certo un ripiego.
Anche per questo la stabilizzazione del Paese, con ben due governi e due parlamenti e milizie e tribù che spadroneggiano, nel quale agiscono potenze d’influenza impegnate nella competizione per l’egemonia regionale, diventa sempre più urgente.
Ma nessun sostegno esterno che consenta di contenere e sconfiggere l’Is è possibile se prima non si costituisce un governo di unità nazionale che comprenda le principali forze che fanno capo a Tripoli e Tobruk. Prospettiva sin qui abortita ma che ora parrebbe più vicina. L’accordo, sotto l’egida Onu, potrebbe essere firmato la prossima settimana in Marocco, nel quadro diplomatico delineato dalla Conferenza di Roma che si avvia domenica, nella quale un ruolo rilevante è giocato dall’Italia.
Anche se le opposizioni a questa soluzione non mancano. Lo dimostra l’accordo alternativo, siglato nei giorni scorsi a Tunisi da esponenti dei due governi rivali che rifiutano le “interferenze straniere”. Sarà, dunque,la diversa rappresentatività degli eventuali due nuovi esecutivi a determinare la possibilità di riuscita della “soluzione Onu”.
Anche se, così, l’intesa negoziata dall’inviato Kobler non ha la strada spianata. Tanto più in previsione di una missione internazionale che non avrebbe più il solo compito di controllare i flussi migratori e mettere fuori gioco i trafficanti di esseri umani ma di contrastare l’espansione del Califfato mobile.