Corriere della Sera, 12 dicembre 2015
Il caso Peralta, centrocampista honduregno, freddato da diciotto colpi di pistola
Quando morire è un’abitudine diventa perfino complicato capire perché.
Arnold Peralta, honduregno, di mestiere centrocampista, aveva solo 26 anni ed è stato freddato da diciotto colpi di pistola mentre stava risalendo sulla sua auto nel parcheggio del Mall Uniplaza, centro commerciale di La Ceiba, 130mila abitanti in faccia al mar dei Caraibi. Peralta era tornato per nostalgia in Honduras – uno dei Paesi con il più alto tasso di criminalità al mondo – dopo aver vinto con i Rangers la League One di Scozia. Era stato accolto come un eroe, scegliendo la squadra più prestigiosa, il Deportivo Olimpia di Tegucigalpa, 27 titoli nazionali e due Champions del Centro-Nord America. Aveva contribuito a trascinare la sua Nazionale al Mondiale di Brasile 2014, che poi aveva saltato per un infortunio. Poco prima di essere ammazzato aveva ricevuto dal c.t. Jorge Luis Pinto la convocazione per l’amichevole contro Cuba di mercoledì prossimo, ovviamente annullata.
Ancora non c’è un motivo per questa morte, solo tante ipotesi affastellate dagli inquirenti. Si era pensato inizialmente a una «semplice» rapina, ma i due ragazzi sulla moto che lo hanno crivellato di colpi alla testa se ne sono andati a tutta velocità senza rubare niente, lasciandolo a terra esanime accanto al suo suv nero. Un regolamento di conti quindi. Salta fuori allora la pista delle bande armate che qui imperversano fuori da qualsiasi controllo. Una vendetta, forse, riferita a una dichiarazione di Peralta: «Il nostro Paese è pieno di delinquenti che uccidono in ogni momento. È diventata una specie di moda. Queste persone non meritano di vivere». Parole pronunciate più di un anno fa, nel novembre 2014, «troppo vecchie» per giustificare una ritorsione. Sei mesi fa, era giugno, a finire impallinato era stato il cugino Byron: un’esecuzione feroce e misteriosa, archiviata comodamente come «rapina».
Ma c’è l’ultima opzione, la più tremenda. Non c’entra la malavita: Peralta potrebbe essere stato ucciso perché ritenuto responsabile dalla mancata conquista della finale scudetto da parte del suo Deportivo una settimana fa: un gol subito a 5’ dalla fine ha regalato l’1-1 e la promozione agli odiati cugini del Motagua, con accuse dello stesso Peralta all’arbitro, reo di avere favorito smaccatamente gli avversari.
Un movente «calcistico» aveva condannato a morte nel 1994 Andres Escobar «colpevole» di aver realizzato l’autogol nella partita contro gli Usa padroni di casa che eliminò la Colombia dal Mondiale.
Il 2015 si era aperto con un’altra morte misteriosa, quella di Gasan Magomedov, ventenne centrocampista russo dell’Anzhi, la squadra in cui giocò Eto’o dal 2011 al 2013: il 4 gennaio il giocatore venne ucciso nel nord del Caucaso mentre era a bordo della sua auto: né il killer né il motivo furono mai scoperti. Giusto un anno fa perse la vita il 33enne calciatore argentino Franco Nieto, raggiunto alla testa da un mattone lanciato dai tifosi avversari mentre nell’agosto del 2014 il nazionale del Camerun Albert Ebossé fu letteralmente lapidato dai tifosi mentre usciva dal campo al termine di una partita del campionato algerino.