Corriere della Sera , 12 dicembre 2015
Riscoprire Giorgio Morandi con le fotografie
Lo studio di Giorgio Morandi in via Fondazza a Bologna ha rivelato un nuovo segreto a Brigitte March Niedermair. Sulla parete di ingresso tre foto introducono la mostra, proprio accanto alle bottiglie dipinte da Giorgio Morandi, tre foto dove si rappresenta il vuoto, quello fra la parete e il tavolo su cui Morandi posava gli oggetti. Nella prima posa è a fuoco il diedro fra tavolo e parete, nella seconda il fuoco si sposta su una macchia al centro del tavolo, nella terza ecco in primo piano tracce di matita nera, segni che Morandi usava per poggiare le bottiglie allo stesso posto e riprendere, giorno dopo giorno, il lavoro. La fotografa capisce che lo spazio della fotografia, come quello della pittura, non è rappresentazione ma assenza, rapporto fra una zona alta che chiamiamo cielo e quella sottostante, la terra. La terza foto, dice la fotografa, «potrebbe essere un Rothko», l’Espressionista Astratto americano che rappresenta il vuoto degli orizzonti, pittura come contemplazione, ma anche incombere dell’angoscia.
Dopo le tre foto iniziali la fotografa propone una ventina di immagini dove vetri, vasi, bottiglie sono sfuocati, mentre a fuoco è soltanto una crepa, uno strappo del muro che sta sopra il medesimo orizzonte, quello contro cui si dispongono le forme come in sequenza. C’è molto del tempo filmico in queste forme immobili che stanno tra Flaherty e Dreyer.
Con le sue foto a lungo meditate Brigitte Niedermair vuol forse evocare i gesti in studio del pittore, e magari lo sguardo lungo dei pittori che Francesco Arcangeli battezzava gli «ultimi naturalisti», da Vasco Bendini a Ennio Morlotti a Pompilio Mandelli, e che collegava proprio a Morandi, mentre il pittore si sentiva come figura assoluta, creatore di immagini da contemplare fuori del tempo, bottiglie come architetture della memoria. Forse per questo Brigitte, accostandosi con venerazione a quella scelta – sublime – di Morandi, le bottiglie le fa svanire, le sospende nel ricordo, attribuisce loro una sospesa esistenza che è quella delle strade riprese da Atget in una deserta Parigi.
A contrappunto di questa sequenza su Morandi, ecco la serie delle Piramidi, tagliente, densa, pietre sconvolte viste da vicino e, sopra, orizzonti lontani. Le fotografie dedicate a Morandi evocano la dimensione dei dipinti, mentre le foto delle piramidi sono piccole, concentrate, densissime.
Brigitte lavora sempre col banco ottico, vuole una ricchezza di dettagli estrema. Ma fermo, nelle due ricerche, resta l’orizzonte, luogo inattingibile, limite e insieme traccia. Bernhard e Hilla Becher hanno segnato la dura presenza dei loro gasometri, depositi dell’acqua persi in una campagna ritagliata contro cieli chiari, la Niedermair ha scelto una strada diversa. Di Morandi ha voluto restituire lo sguardo, evocando bottiglie come attenuate apparizioni; delle piramidi ecco la densità concentrata delle pietre da meditare come un Jean van Eyck. Morandi letto attraverso il tempo sospeso di Rothko, la lunga durata delle piramidi viste attraverso la tesa grafia dei fiamminghi. Foto tutte affascinanti, intense, nuove.